I
Fescennini
Il
mimo
Le
(fabulae) Atellanae
La
satira
Sull'origine etimologica di questo vocabolo non esiste certezza ma tre sono le ipotesi che vengono al riguardo formulate. Secondo la prima teoria il termine deriverebbe dalla città falisca di "Fescennium", situata al confine fra Etruria e Lazio. Qui era coltivata la consuetudine di festeggiare da parte dei contadini divisi in schiere alterne, l'abbondanza del raccolto nella stagione della raccolta. Costoro, per ringraziare gli dei, si abbandonavano a ideare rudimentali, licenziosi e reciproci versi. Secondo la seconda ipotesi, invece, il vocabolo sarebbe di derivazione latina "fascinum"(malocchio); in genere, in occasione della vendemmia, si lanciava il malocchio sui carri (che trasportavano l'uva) degli altri produttori agricoli. Per alcuni studiosi invece il vocabolo si riferirebbe alla formula per scongiurarlo. Quanto alla terza teoria essa mette in relazione il termine col suo senso fallico, essendo un sinonimo di "veretrum".
E' tuttavia da dire che le tre predette ipotesi non sono in completo disaccordo tra di loro poiché un fine apotropaico è chiaramente presente in tutte e tre. Orazio definì i fescennini opprobria rustica, essi avevano un carattere religioso. Anche se influenzò enormemente la natalità della drammaturgia latina, il genere dei fescennini non giunse mai ad essere un'importante espressione teatrale anche se spesso riproponevano situazioni drammatiche esasperate dal contrasto dialogato, dall'uso delle maschere indossate dagli attori, dal ricorso a danze buffonesche.
Comunque arrivarono a tal punto di licenziosità che fu necessario l'intervento della censura delle "Leggi delle XII tavole". Fu stabilito così di punire con la pena di morte chiunque avesse composto carmi offensivi diretti contro un cittadino romano. Malgrado tale divieto però i fescennini continuarono a mantenere la caratteristica di licenziosità che li aveva sempre contraddistinti e sopravvissero a livello popolare soprattutto come carmi epitalami cioè per le nozze (esaltando licenziosamente la fecondità della sposa, la I°notte di nozze ecc.). Un esempio di fescennino "letterario", infine, è il carme LXI di Catullo.
Etimologicamente è di derivazione greca e significa "imitare". Il "mimo" era molto diffuso a Siracusa ed a Taranto. I legionari romani ne erano venuti in contatto in occasione delle guerre combattute contro Pirro, re dell'Epiro, e contro Cartagine (I° guerra punica).
Di derivazione etnica greca quindi, era caratterizzato da un'azione drammatica molto breve ed aveva un'impronta macchiettistica e caricaturale.Sembra che questo genere di spettacolo avesse diversi tipi: i "paignia" (in cui si mescolavano danze, numeri da giocolieri, esercizi di destrezza ed altro), gli "hypothésesis" (con una trama ben definita).
La peculiarità dei mimi era sempre
quella di essere molto licenziosa e soprattutto libera anche
quando lo spettacolo era "composito". La parte più
importante di esso restava sempre però quella istintiva,
del gesto.
Gli attori del mimo non portavano le maschere (recitavano
a viso scoperto) né indossavano calzature particolari
e ciò per essere più aderenti alla realtà.
Le parti femminili erano affidate ad attrici in genere vestite
molto licenziosamente o nude e ciò attirava ancor di
più gli spettatori abituati a veder recitare attori
nel ruolo femminile quando recitavano in altri generi teatrali.
Il mimo, come l'atellana, aveva la funzione di exodium catartico
(ridare serenità agli spettatori dopo uno spettacolo
drammatico).
Tuttavia anche il genere del mimo aveva, come l'Atellana,
personaggi "fissi", caratterizzati da un abbigliamento
tipico e facilmente riconoscibile: il "mimus albus",
vestito tutto di bianco, un'anticipazione di Pulcinella, e
il "mimus centuculus", dall'abbigliamento variopinto
come Arlecchino. Tuttavia la presenza delle attrici comportò
la degenerazione di questa rappresentazione teatrale in cui
si dava molto spazio al nudo femminile,"nudatio mimarum",
attuato soprattutto durante i "Ludi Florales". Tali
attrici erano arruolate tra le fila delle "meretrices"
(meretrici) e come tali erano considerate.
Il mimo si elevò solo con Publilio Siro e con Decimo
Laberio ma ormai siamo sotto Cesare. Il primo era un cavaliere
romano, il secondo uno schiavo di origine orientale poi emancipato
e divenuto liberto. Per volontà del dittatore Cesare
i due mimmografi si sfidarono nel 46 a.C. ; vinse il liberto.
Di Publilio Sirio ci rimangono un migliaio di versi (Sententiae)
e due titoli, di Laberio un centinaio di frammenti ed una
quarantina di titoli.
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