Secondo Fea tutti i danni erano stati causati dalla pretesa dei tiburtini per aver voluto, forse nel secolo XII o XIII «fare quella cascata così alta, per avere più alta poca più acqua, mediante dei canali a traverso la città nella ripa sinistra. Rilevai minutamente nella serie di più secoli, in conseguenza della novità, i danni, le rovine, gli spaventi continui occasionati dal fiume, in ispecie colle sue piene, il quale non potendo a un tratto abbattere il muraglione della cascata; ogni tanto rovinava nelle due ripe Chiese, case, giardini ec.: finché minando sordamente a poco a poco la ripa destra dove intestava assai debolmente la chiusa a un greppo tartaroso; si liberò in poche ore strepitosamente da quell’ostacolo, come si è veduto … che in pochi anni non vi resterà la strada di Subiaco», (pag. 23 sg.).
Per fortuna, il progetto di Clemente Folchi fu approvato e se pure la città perse un paesaggio eccezionale, fu salva da future inondazioni.
L’olio su tela di Paolo Anesi (circa 1690-1773), “La cascata di Tivoli”, conosciuto all’estero come “The Aniene Waterfall”, cm. 40,04 x 58,39, appartiene ora ad una collezione privata in quanto è stato aggiudicato a Londra nel 2009 nell’asta Old Master Paintings per la cifra di € 11.371,00 comprensiva di diritto d’asta. Per mancanza di documenti e di notizie, la vita di questo pittore non si può ricostruire con precisione, mentre si può studiare il suo iter artistico attraverso un gruppo di opere, in parte firmate, in parte a lui attribuibili. I temi dei dipinti e delle incisioni, che sono vedute e paesaggi, testimoniano di un’attività svolta prevalentemente nella capitale dello Stato Pontificio, e “romano” egli si qualifica nella dedica delle sue Vedute all’acquaforte del 1725. Ma poiché lo storico d’arte Luigi Lanzi (1732-1810) scrisse che “molti quadri di vedute campestri son per Firenze dipinte da Paolo Anesi e ve n’è copia anche in Roma” e lo ricorda come maestro di Francesco Zuccarelli (1702-1788) prima che questi passasse a Roma (Storia pittorica della Italia, Tomo primo, Bassano, 1795-1796, pag. 270), alcuni pensano che fosse fiorentino piuttosto che romano. In ogni modo trascorse a Roma la maggior parte della vita, dove lavorò come vedutista tanto da essere considerato il maggior pittore romano di questo stile settecentesco. Studiò con Giuseppe Bartolomeo Chiari (1654-1727), in seguito, nella bottega di Bernardino Vincenzo Fergioni (1674-1738).
Meno credibili le frequentazioni delle botteghe di Andrea Locatelli (1695-1741), anche se questo potrebbe spiegare la sua opera di vedutista, e Sebastiano Conca (1680-1764). Influenzato dal gruppo di pittori detti bamboccianti abbandonò lo stile bizzarro di questi pittori del Seicento per una visione più arcadica e settecentesca, come in questa tela: il paesaggio ricorda van Wittel (1652/1653-1736), ma è notevole l’evidenza dell’aspetto bozzettistico. Molti suoi paesaggi furono comprati da stranieri, per la maggior parte inglesi, che amarono questa tipologia di stile dal Canaletto (1697-1768) al citato Francesco Zuccarelli.
Da sottolineare che nel Grand Tour molti pittori italiani trovarono fortuna presso i collezionisti stranieri in particolare coloro che dipingevano quadri di piccole dimensioni facilmente trasportabili. I suoi “Capricci” con rovine del Foro romano ricordano da vicino i medesimi soggetti del più conosciuto Giovanni Paolo Pannini.
giugno 2017