L'interno delle tombe più recenti (IV-III sec. a. C.) è costituito da un lungo e stretto ambiente con loculi laterali destinati alle deposizioni e agli oggetti del corredo; le tombe più antiche, risalenti al VI sec. a. C., si articolano invece in una camera monumentale con banchine o nicchie laterali per deposizioni o sarcofagi. In queste i corredi, particolarmente ricchi, erano collocati nel vano centrale o su bassi ripiani laterali. Le tombe ipogee erano generalmente di piccole dimensioni: camere sepolcrali con banchine e loculi laterali contenenti in genere due o tre defunti. Di particolare importanza è la scoperta di una camera più grande, contenente due sarcofagi a cassa rettangolare e con tetto displuviato in peperino che costituiscono un significativo elemento di raccordo culturale con le necropoli di Palestrina.
Nella campagna del 2002, è stata riportata alla luce una grande tomba a camera contenente più di sette deposizioni databili tra la fine del VII e tutto il VI secolo a. C. con ricchi corredi composti da vasi di diverse produzioni, notevoli elementi di corredo personale ed armi; nella principale fase di deposizione compare anche l'offerta di un cavallo smembrato. I corredi delle tombe della fine del IV - inizi III sec. a.C. si inseriscono agevolmente nella "koinè" culturale laziale del tempo: ceramica a figure rosse tarda e sovradipinta ("Phantom Group"), piattelli Genucilia, vernice nera (vasi miniaturistici e coppe dell'"Atelier des petites estampilles"), ceramica grezza, rari bronzi, tra cui specchi e un vaso a gabbia caratteristici di contesti prenestini.
Nel corso dell'indagine è stato possibile verificare che alcune tombe a camera contenevano, oltre ai corredi di IV-III sec. a.C., materiali del periodo orientalizzante recente (1° metà VI sec. a.C.): il dato, di particolare importanza, documenta il riutilizzo, nel corso del IV secolo, di sepolture più antiche. Queste sono localizzate nel tratto centrale della necropoli, in corrispondenza di uno snodo stradale di particolare rilievo, e appaiono contraddistinte da un'accurata realizzazione strutturale delle scale, del "dromos", della porta e dei lastroni monolitici di chiusura.
In posizione arretrata rispetto alle tombe ipogee, e concentrate in particolare all'estremità Nord della necropoli (ove è stata rinvenuta anche una cava per blocchi di tufo), sono state scavate numerose sepolture a fossa riservate a individui di ceto inferiore.
Sono stati recuperati più di trecento vasi in ceramica, di varie fogge e
decorazioni, oltre a oggetti in bronzo di uso personale (specchi, strigili), ornamenti vari e armi, che, in diverse associazioni, caratterizzavano le sepolture maschili e femminili.
Particolarmente notevoli sono i corredi comprendenti alcune forme di bucchero (calice, "kantharos", "oinochoe"; forme Rasmussen 3a, 3h, 6a), vasi e balsamari etrusco-corinzi di importazione e, soprattutto, una notevole serie di olle, alcune d'impasto bruno costolate con tracce di colore rosso, altre con decorazione dipinta in rosso su bianco che rilevano una specificità culturale ancora da definire, ma che comunque trovano affinità con Tivoli e con i centri della Sabina meridionale.
Di notevole interesse appare, infine, il rapporto stratigrafico di alcune tombe rispetto alla strada funeraria: lo scavo ha evidenziato l'esistenza, tra la fine del IV e la metà del III secolo a.C., di almeno due diverse fasi di frequentazioni della via con distinti livelli di accesso alle strutture funerarie.
Dopo lo scavo l'area è stata nuovamente interrata per proteggerla dalle intemperie e per evitare atti di vandalismo. Le tombe sono state protette con tessuto-non-tessuto e riempite con tessuto-non-tessuto e riempite con pozzolana. A seguito del rinvenimento, il sito è stato assoggettato a vincolo archeologico imposto con Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali del 13.02.1998, art. i, 4 (Catasto di Gallicano, F. 2, particelle 6-10, ll parte, 34-36). I reperti sono stati tutti inventariati, catalogati e fotografati, e in gran parte restaurati (consolidamento, ricomposizione di quelli frammentati, ripulitura delle superfici etc). Attualmente sono custoditi nei depositi della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio a Tivoli. Non sono mai stati esposti; solo qualcuno è comparso in mostre temporanee dedicate alle tecniche di restauro.
Notizie fornite da: Zaccaria Mari, Funzionario archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e da Fausto Zevi, professore dell'Università “La Sapienza” di Roma