Notizie di Agosta inerenti le vicende dal VI fino all'XI secolo sono rintracciabili in vari documenti e Bolle Papali. In un privilegio di papa Giovanni XVIII all'Abate di Subiaco, datato 1005, si fa riferimento alla concessione di un "casale che si chiama Augusta, dove si sta costruendo un castello." In un altro documento dell'ottobre 1051 si trova che il castello di Agosta, dove nel 1045 fu stipulato un atto tra l'Abate sublacense e il Vescovo di Tivoli, essendo ultimato, veniva posto da papa Leone IX sotto la giurisdizione dell'Abate di Subiaco (vi rimase per tutto il Medioevo), unitamente al monte su cui il maniero era stato edificato. Non potendo essere presente di persona, visti i vasti possedimenti e i tanti impegni, l'Abate delegò il compito di amministrare Agosta ad un commestabile; a lui i contadini dovevano consegnare la decima del raccolto ogni anno ammassandolo in un casale fortificato per non farlo rubare dopo di che veniva portato all'Abate.
Col passare degli anni (in modo specifico nell'arco di tempo dal 1145 al 1176) Agosta vide lo scontro tra Filippo, nipote dell'Abate Pietro IV, ed il nuovo Abate Simone di Cassino, che fu imprigionato per qualche tempo nel castello di Agosta per poi essere affidato a Riccardo di Arsoli. Le cose cambiarono quando, ormai liberato, Simone riuscì di nuovo a dirigere l'Abbazia sublacense. Filippo, ormai in disgrazia, perse ogni bene per cui si rivolse per aiuto all'imperatore Federico il Barbarossa.
Nel 1174 un esercito germanico guidato dall'arcivescovo di Magonza assediò il castello di Agosta espugnandolo e incendiandolo.
Altro momento tragico fu vissuto da Agosta nel 1382. Cicco e Cola, figli di Omodio, la loro madre, Maria di Roiate, e Agnese, moglie di Cicco, caddero in disgrazia presso l'Abate di Subiaco avendoli costui considerati dei traditori: avrebbero fatto entrare nel castello di Agosta Nicola Colonna, amico dell'antipapa Clemente VII ed acerrimo nemico dell'Abate sublacense. Ciò aveva causato morti e feriti tra gli agostani mentre il castello era stato gravemente danneggiato. Così gli accusati, pur dichiarandosi innocenti e asserendo che le chiavi del castello erano state consegnate a loro insaputa da un certo Guastalamarca al Colonna, dal tribunale abbaziale furono condannati non solo alla confisca dei beni ma anche alla morte con il taglio della testa.
Fortunatamente nel processo d'appello si riconobbe la loro buona fede e ebbero salva la vita pur dovendo pagare i danni riportati dal castello in seguito all'attacco degli sgherri del Colonna.