Il culto di Fortuna era originariamente legato alla fecondità, ma già in tempi antichi la dea si presentava anche come divinità vaticinante. La duplicità dei luoghi di culto del santuario prenestino riflette la duplicità degli aspetti della dea, alla quale a Praeneste, come a Roma, dai sacerdotes e dai patres, viene tributato un culto ufficiale, mentre le sue prerogative femminili vengono venerate dalle matres. Un'immagine del duplice aspetto della dea è il gruppo scultoreo con due figure femminili: quella di sinistra di tipo giovanile e l'altra di tipo matrona identificate con le Fortune di Anzio. Già alla fine del II sec. a.C. a Praeneste deve esser avvenuto un precoce sincretismo fra Fortuna Primigenia e Iside, divinità orientale anch'essa contraddistinta da un carattere primigenio e materno. La presenza di culti egiziani nella città è dimostrata dalle evidenze archeologiche, fra cui monumenti ed iscrizioni, ma tale assimilazione è provata anche dalla colossale statua in marmo bigio, proveniente dalla zona del Foro, che rappresenta una figura femminile vestita da tunica e mantello, conservata solo dalle spalle alle ginocchia e mancante delle parti nude e della testa, probabilmente eseguite a parte in marmo bianco. La statua, un originale tardo ellenistico di ambiente rodio databile nell'ultimo quarto del II secolo a.C., sarebbe proprio una raffigurazione di Iside, solitamente vestita di nero.
Delle immagini di culto di Fortuna sappiamo invece dalle fonti che una, collocata nel tempio, era di bronzo dorato, mentre un'altra, di marmo bianco, situata presso il pozzo delle sortes, era rappresentata seduta mentre allattava Giove e Giunone fanciulli: proprio a quest'ultima dovrebbe appartenere la grande testa rinvenuta nel riempimento del pozzo, anch'essa un originale tardo ellenistico della fine del II secolo a.C..
L'iconografia
più nota di Fortuna, che rappresenta la dea stante
con la cornucopia, simbolo dell'abbondanza, nel braccio sinistro,
è ripetuta invece in una copia di età imperiale
di un prototipo greco risalente al IV secolo a.C.
Le origini del culto sono narrate da Cicerone (Cic., De divin.
II, 41): un cittadino di Praeneste, Numerio Suffucio, sarebbe
stato indotto da sogni ricorrenti a scavare in un certo punto
nella roccia. Qui sarebbero apparse le sortes ("lettere"
di legno che venivano estratte ed interpretate), attraverso
le quali la dea comunicava con gli uomini.
Contemporaneamente da un olivo poco distante sarebbe stillato
del miele ed il prodigio sarebbe stato letto come garanzia
di importanza e veridicità. Sugli aurei erano raffigurate
le due teste affrontate della dea, mentre sui denari erano
raffigurati i due busti sopra lectisternio o piccolo baldacchino
processionale. La figura con corpo ricoperto da vesti aveva
sul capo una corona, mentre l'altra, che mostrava i seni nudi,
aveva sulla testa un elmo. Queste due figure della dea, che
Marziale chiamava sorores o sorelle, secondo alcuni indicavano
che ognuna di loro aveva attributi e mansioni differenziate:
la prima più femminile e la seconda più maschile
e bellicosa. Non è di questo parere l'autorevole studiosa
J. Champeaux autrice di un vasto ed interessantissimo saggio
sulla dea Fortuna nel mondo antico. Ella infatti ritiene che
queste due figure appartenenti ad una unica dea, siano allo
stesso tempo ambedue oracolari, fecondatrici e protettrici
dell'uomo durante tutte le alterne vicende della sua vita.
Questo dualismo è tipico della religione e delle credenze
animistiche del monto latino-romano che avverte l'esigenza
di evidenziare due volti o due aspetti di una stessa essenza.
L'unicità della dea, tuttavia, è confermata
da numerose lettura. Seguendo sempre le indicazioni della
Champeaux e della Scevola, possiamo affermare che l'attributo
principale della Fortuna anziate fosse quello della fecondità
e della nascita, guaritrice di tutte le parti del corpo, soprattutto
degli organi di riproduzione.
Scarica gratuitamente le nostre audioguide o le guide tascabili.
Patrocinio Comune di Tivoli
Assessorato al Turismo