Una spiegazione che può proporsi per interpretare questa contraddizione è che ci fosse anticamente un rituale associato al nome Ebur, un rituale di vicinanza con il regno dei morti che prevedeva tre condizioni:

a) un fiume che scorre fra grotte inaccessibili e suggestive;
b) una collina ricca di grotte ramificate dove poter collocare un santuario per la divinazione;
c) un’ ampia valle ricca di acque e di verde dove migliaia di capi di bestiame potessero abbeverarsi.

Immaginiamo il raduno dei pastori nomadi accampati con migliaia di capi di bestiame, un grande festival, dedicato a Ebur, a cui si offrivano sacrifici di bestiame, il cui sangue veniva versato in fosse scavate nella collina sovrastante. Attorno alle fosse indovini simili ai celtici druidi interrogavano i morti in una Weltanschauung che prevedeva la perenne vicinanza dei morti con i vivi e che considerava con esaltazione l’occasione in cui si poteva palesare questa immanenza dell’aldilà. Niente di tenebroso nell’Acheronte quindi, come in effetti si sperimenta anche oggi, ma il ricordo di rituali il cui significato era andato perso nella Grecia classica.


Cunicoli gregoriani

Anche Ti-Ebur aveva le tre caratteristiche sopra elencate, come è noto a chi abbia mai visitato l’attuale Villa Gregoriana. Il fiume scendeva tumultuando fra i dirupi scavati nella pietra di marna calcarea; le grotte di Nettuno e della Sibilla, la valle degli inferi, nonché i cunicoli sotterranei che si ramificano sotto l’Acropoli fornivano gli ambienti suggestivi di cui abbisognava il culto di Ebur.

La divinazione doveva svolgersi probabilmente nella stessa area dove sorgerà il culto della Sibilla, che ne immortalò la tradizione in epoca classica. Infine tutto il fondovalle dell’Aniene era ricco di acque e di pascoli per consentire il raduno dei pastori bne-‘Eber nei giorni del grande festival.
L’area dell’acropoli era considerata sacra, come registra la presenza dei due templi, rotondo e rettangolare di cui a detta del prof. C.F. Giuliani è ancora dubbia l’attribuzione. ”Essi di volta in volta sono stati assegnati senza alcuna ragione alla Sibilla Albunea, a Tiburno, a Vesta...Il Cluverius riferisce che alcuni vi vedevano il tempio di Ercole…”([10] pag. 122). Nelle vicinanze dei templi si trovava l’area sacra di Vesta attraversata dal diverticolo che era una via alternativa per il tempio d’Ercole. Questo tempio fu costruito nel I secolo e tanta celebrità dette alla città per tutto l’impero, il Pacifici [1] pag. 40 scrive che Giovenale lo citò come termine di irraggiungibile bellezza. Il tempio fu costruito sicuramente su un recinto sacro più antico dedicato ad una divinità anteriore a Ercole, i cui resti sono ancora da scavare nell’area adiacente al teatro.


Ingrandisce foto Centrale dell'Acquoria

Più in basso c’è la località detta Acquoria dove nel 1925 si rinvennero alcuni oggetti votivi provenienti da una ricca stipe riferibile ad un locale santuario arcaico ([11] pag 113) . Si può perciò assegnare anche l’area della nostra città e tutto il fondovalle al culto dell’eroe e al corrispondente festival di quegli antichi pastori che la Bibbia chiamava bne-‘Eber.

In questa prospettiva non solo la nostra città, ma tutta l’area dell’Aniene che scende a Roma doveva essere dedicata a Ebur e portarne necessariamente il nome. La variante Iber che si riscontra in Tiber, doveva dipendere da funzioni grammaticali. Il grande filologo Trombetti nelle conclusioni del lavoro già citato, sostiene che la lingua degli antichi Iberi, di cui il basco è l’attuale erede, era imparentata con le lingue caucasiche e camitosemitiche ([6] pag. 151-156). Possiamo quindi riferire l’origine di questa parola alla radice semito-camitica ‘abar =passare (ebraico) o afar =esser libero, vagare (voce dànkali) che designa chiaramente l’azione del pastore. Siccome in queste lingue nella coniugazione verbale si mutano le vocali tematiche, la variante Iber/Ebur che si registra dovunque in Europa occidentale potrebbe trarre la sua origine da una ragione grammaticale che ci sfugge. Più tardi popoli parlanti lingue indo-europee irruppero in occidente ed Ercole sostituì Ebur , il festival in suo nome scomparve lasciando solo una traccia incomprensibile nella toponomastica.
Dell’incontro tra questi diversi popoli d’Europa un’informazione ci rimane su come quelli del nord di carnagione chiara, considerassero le genti che stiamo trattando.
I romani adottarono l’aggettivo maurus per designare il colore della pelle dei berberi del nord-Africa dal loro nome e ugualmente fu per niger a causa degli abitanti dell’Africa subsahariana. Così devono aver fatto gli invasori dei territori abitati dai nostri bne-‘Eber. La parola russa buryj=bruno è imparentata alla radice germanica occidentale *bero = “animale bruno” , infatti provengono dalla radice indo-europea *bheros=bruno che dette origine a entrambe [12] . Questo aggettivo poté ben essere derivato dal nome Ebur e assunto a definire il colore della pelle degli abitanti che s’identificavano con tale eponimo.

Autore: Luigi Battisti

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