Acquedotto Anio Vetus

Tra il 272 ed il 270 si mise mano a realizzare il secondo acquedotto romano (dopo quello Appio), lungo 43 miglia, pari a 63,5 km circa, dei quali solo 0,221 miglia erano in superficie, su muri di sostegno nei pressi dell’odierna Porta Maggiore (dove confluivano ben otto acquedotti). Fu il primo dei  quattro acquedotti che utilizzarono le acque del fiume Aniene.
Aveva una portata di 4.398 quinarie giornaliere (pari a 182.517 m3 e 2.111 litri al secondo); di tanta acqua però giungeva a Roma solo poco più di metà, a causa di dispersioni o captazioni abusive.
L’acquedotto prese l’appellativo di Vetus (“vecchio”) solo circa tre secoli dopo quando venne costruito l'Anio novus ( "Aniene Nuovo"). Raccoglieva le acque, all’altezza del XXIX miglio della Via Valeria (circa 850 m a monte della località di San Cosimato, come riferisce il Lanciani), del fiume Aniene che lì confluiva col torrente Fiumicino, tra i comuni di Vicovaro e Mandela, ossia in una regione della Sabina, che era stata conquistata poco prima da Manio Curio Dentato.

Ponte Lupo
Ingrandisce foto Ponte Lupo

A interessarsi della costruzione dell'acquedotto furono inizialmente i censori Manio Curio Dentato e Flavio Flacco, i duumviri aquae perducendae scelti dal Senato, ma per la sopraggiunta e inaspettata morte del primo, fu il secondo ad occuparsi della sua realizzazione.
Come di consuetudine il condotto era quasi completamente sotterraneo (alcuni dei ponti, che ne abbreviavano il percorso, furono realizzati in tempi successivi) e giungeva a Roma nella zona denominata “ad spem veterem”, per terminare presso la Porta Esquilina.

A causa delle tecniche costruttive dell'epoca, ancora poco avanzate, il tragitto era lungo e tortuoso (oltre 60 chilometri) in quanto si preferì seguire il più possibile l’orografia del terreno, mantenendo una pendenza costante. Così da Tivoli, anzichè scendere dritto verso Roma, il condotto raggiungeva la zona dell’attuale comune di Gallicano nel Lazio (dove sono visibili il ponte Taulella ed il Ponte Pischero), quindi seguiva la via Prenestina fino a Gabii e da lì la via Latina nella zona dell’attuale Casal Morena, dove, con una "piscina limaria" (bacino di decantazione), una parte delle acque veniva smistata nelle ville rurali del circondario. Il condotto superava poi la via Tuscolana, la via Labicana ed attraversava la via Prenestina con l’unico tratto scoperto, pari a circa 330 m, fino alla porta Esquilina, dove il “castello” terminale provvedeva alla distribuzione dell’acqua alle varie utenze pubbliche.

Ponte della Mola
Ingrandisce foto Ponte della Mola (S.Gregorio da Sassola)

L'opera fu finanziata grazie all'enorme bottino di guerra della vittoria su Taranto e su Pirro; in tale conflitto, scoppiato tra il 280 ed il 275 a. C., Roma combatté contro Pirro, re dell'Epiro e a capo di una coalizione greco-italica. Scenario della guerra fu l'Italia meridionale per cui coinvolse anche le popolazioni italiche del posto. Generata in seguito alla reazione di Taranto, città della Magna Grecia, all'espansionismo romano, la guerra coinvolse presto anche la Sicilia greca e Cartagine. Il conflitto si concluse con la vittoria di Roma; Pirro fu costretto a lasciare definitivamente l'Italia mentre l'egemonia romana si estese su tutta la Magna Grecia ad eccezione della Sicilia.

L’Anio vetus fu restaurato tre volte: nel 144 a.C., dal pretore Quinto Marcio Re, in occasione della costruzione dell’acquedotto Aqua Marcia (che rinforzava l’Anio vetus con la cessione di 164 quinarie tramite un condotto secondario nella zona di Casal Morena); nel 33 a.C. da Agrippa; e tra l’11 ed il 4 a.C., ad opera di Augusto, quando venne costruita una diramazione sotterranea, chiamata “specus Octavianus”, che, partendo dall’attuale zona del Pigneto, seguiva la via Casilina e raggiungeva l’area dove poi vennero costruite le Terme di Caracalla.
Interventi meno invasivi vi furono anche nei primi due secoli d.C. In particolare, all’epoca dell’imperatore Adriano, risale la costruzione del famoso “Ponte della Mola”.

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