In tale contesto storico e culturale assai poco incoraggiante, nella città pur sempre scelta dalla casata d'Este per costruire il gioiello architettonico della loro villa, città amata e corteggiata dagli accademici del Rinascimento europeo che vagheggiavano la possibilità di individuare tra le vestigia degli antichi splendori dell'età imperiale romana quel locus amoenus adatto per incorniciare una rinnovata fioritura di studi classici, si impianta comunque, da parte dei Gesuiti, una approssimativa "scuola superiore di humanità", corrispondente, più o meno, al primo grado di quel "novissimo" programma scolastico che superava definitivamente le antiche istituzioni pedagogiche e didattiche medioevali comprendenti ancora lo studio di Alberto Magno e le Sentenze di Pietro Lombardo.
Assai lungo potrebbe essere il capitolo sulle relazioni tra la casa principesca di Ferrara e la Compagnia di Gesù. Mi limito a ricordare la calda e disinteressata amicizia che legò il Cardinale Ippolito a S. Ignazio il quale, con solerzia paterna, si affrettò ad inviare nella città estense un prudente Padre confessore per sorvegliare le deviazioni dottrinarie tendenti al calvinismo che vi si praticavano.
E fu proprio il Cardinale a caldeggiare la protezione della Compagnia nei confronti del fratello Ercole II e della cognata Renata di Francia sospettata di eresia (Datate, ma tuttora insuperate e ricchissime di dotti riferimenti le monografie che il compianto prof. Vincenzo Pacifici, perito nel bombardamento aereo del 1944, dedicò all'argomento).
La cosiddetta "scuola superiore di humanità" promossa dal Cardinale d'Este, presentava un programma scolastico (definito "ratio studiorum") già formulato nel suo abbozzo iniziale nella lettera del 14 luglio 1551 scritta da Padre Annibale du Coudret a Padre Polanco: si prevede un corso grammaticale diviso in tre parti, il primo dei quali ripartito ancora in quattro ordini. Accanto ad esso, che rimane fondamentale ed imprescindibile, saranno impartite lezioni di Umanità, Retorica e Dialettica, e imposto l'uso del latino parlato obbligatoriamente nella scuola ("nelle scuole tutti gli scuolari, etiam absente il maestro, hanno di parlar latino" Monumenta pedagogica, p. 103).
Questa formulazione scolastica, codificata come "ratio e tordo (=modus) Parisiensis" che lo stesso Ignazio, nei suoi anni giovanili, aveva seguito a Parigi, ricalcava le intuizioni dei grandi umanisti italiani che già nel secolo precedente avevano propugnato lo studio intensivo dei classici latini, ponendo al centro del programma soprattutto Virgilio e Cicerone.
E, in buona sostanza, il "modus Parisiensis" , accettato nelle scuole dei Gesuiti in Italia, dopo aver previsto l'acquisizione di solide basi grammaticali - ottenute con un procedimento ordinato ma comunque assai rigido - insisteva soprattutto sullo studio di questi due autori, ritenuti unanimamente i caposaldi della storia letteraria e linguistica latina, e sui quali gli studenti dovevano anche scrivrere "quotidianamente" una breve composizione riassuntiva.Scarica gratuitamente le nostre audioguide o le guide tascabili.
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