In un clima di gravi incertezze si inserisce il discorso dell'istituzione di una scuola pioneristica, confusamente programmata e mal definibile, cui, alle oggettive difficoltà contestuali, si aggiungeva il carattere "mutevole" degli stessi tiburtini, scolari e famiglie: "Le schuole sono in grande aumento, maxime la schuola d'humanità; benché, per la instabilità di questa gente, non ci promettiamo molto in ciò" scrive il rettore Cavaliere al vicario generale Lainez nel 1556; in occasione del contrasto sorto con i domenicani ancora la stessa lagnanza: "Grande è la mutazione di questa gente!". In effetti si avvertiva una indubbia avidità nel ricevere i benefici che potevano derivare da una primitiva forma di istruzione, ma una anche una disinvolta prontezza ad abbandonare la scuola o per sopperire alle necessità del lavoro campestre o. per seguire la moda di qualche improvvisato "ludimagister" che si proponeva in forma concorrenziale o addirittura, per inserirsi nelle dispute "dottrinali" che in quel tempo vivacizzavano gli Ordini domenicano e gesuitico.
Infatti, una forma di insegnamento libero e privato si era diffusa nelle principali città italiane tra i secoli XII e XIII. Diversi - e improvvisati - erano i metodi: dal pedagogo che curava un solo alunno a scuole private che stipendiavano un maestro libero, a forme di consorzio tra insegnanti. Una rudimentale, spesso improvvisata forma di insegnamento veniva impartita da maestri o in proprio - assai spesso accontentandosi di pagamenti . "in natura" - o per incarico (assai mal retribuito e, soprattutto non in forma continuativa) della Municipalità. Si trattava dell'insegnamento "laico" su cui venne ad innestarsi quello degli Ordini religiosi che, gratuito all'inizio, e sorto ufficialmente con il proposito di dedicarsi alla predicazione e all'istruzione catechistica, aveva progressivamente assunto il controllo dell'istruzione.
A Tivoli sono segnalati diversi casi di "concorrenza" : già in una lettera di padre Casanova dell'11 aprile 1556 si denuncia l'arrivo di un insegnante laico che, da poco tempo in città, attira molti studenti . per non dover recitare le prescritte preghiere quotidiane della scuola gesuitica. Ma l'esperimento ha breve durata e il "ludimagister" l'anno successivo abbandona Tivoli. Gli scolari tornano, ma, scrive il Rettore a lainez il 28 maggio: "Io non facilmente li ricevo, che mi fo molto pregare ma molti prima che ne riceva alcuno di quelli che si partirno, acciò non così facilmente vadano et vengano et noi non ci fatichiamo senza frutto con questa gente instabile".
Nell'incessante carteggio tra gli insegnanti e la Curia generalizia viene assai spesso lumeggiato il carattere riottoso e arrogante degli scolari che, lungi dal comprendere come la rudimentale "schuoletta" avrebbe comunque potuto costituire l'unica possibilità di elevazione sociale, avviando o a piccoli lavori impiegatizi o ad un inopinato proseguimento degli studi superiori, manifestavano discontinuità e una sorta di presunzione immotivata, tanto più se consideriamo che tali atteggiamenti ricevevano l'avallo delle stesse famiglie, sempre pronte a difendere i figli o a discutere con un certo malanimo l'operato dei Padri Gesuiti. Nel Cronicon è esplicitamente annotato: "Dava fastidio l'arroganza dei ragazzi, i quali, pur avendo commesso una qualche colpa, non volevano esser puniti; e alcuni, castigati, non tornavano alle lezioni". E siccome nelle scuole gesuitiche era proibito ai professori infliggere punizioni corporali, ma ci si doveva affidare a correttori esterni, questo il "consiglio" che dalla Curia Generalizia, il 14 maggio 1552, viene inviato al Padre Girardin: "Può battere, se non trova correttore. Quanto alli padri che non vogliano esser battuti li figliuoli, una di tre è necessaria: o che se corregano con parole; o che siano battuti, non bastando; overo che li conduchino ad altre scole, perché NON S'HA DA TOLERARE CHE SIANO LI' SENZA FAR FRUTTO . (Monumenta pedagogica, n. ed., I 1965, p. 655).
Alla distanza, comunque, l'opera dei Gesuiti - che non si esplicò esclusivamente nella scuola, ma estese le sue provvidenze nell'assistenza spirituale e nelle opere culturali e sociali a tutti i livelli -, fu ampiamente apprezzata dai Tiburtini che però, secondo un costume che dura tuttora, mai ammisero le benemerenze dei dotti Padri. Ciononostante, nella seduta del Consiglio Comunale del 29 novembre 1638 furono votati, come santi protettori della città, S.Francesco Borgia, terzo generale dell'ordine, e S. Francesco Saverio, apostolo delle Indie. Ricorda C. Pierattini che "l'attaccamento di Tivoli si palesò soprattutto nel 1848, allorchè, costretti i Gesuiti alla partenza in seguito alla soppressione delle loro scuole, la popolazione insorse contro il sopruso e scese in piazza gridando:"Viva i Gesuiti!"; e dovettere accorrere rinforzi di polizia da Roma per placare gli animi esasperati" (L'episodio della sommossa tiburtina è tratto da N. Roncalli, Cronaca di Roma, I, Roma 1972, p. 384).
Scarica gratuitamente le nostre audioguide o le guide tascabili.
Patrocinio Comune di Tivoli
Assessorato al Turismo