Nelle Mostra "Le bellezze di Tivoli nelle immagini e negli scritti del Grand Tour, che rimarrà aperta nel Museo della città di Tivoli in Piazza Campitelli fino al 31 ottobre 2017, è presente, per gentile concessione della Galleria 90 di Tivoli, una bellissima acquaforte derivata da un dipinto di Claude Joseph Vernet (1714-1789), Rivage près de Tivoli, firmata "J. Vernet pinxit J(acques) Aliamet (1726-1788) sculp(sit)", 1779.
L'olio su tela originale, del 1746, di cm. 97,79 x 123,19, da cui deriva poi l'acquaforte, è conservato nel Minneapolis Institute of Art, a Minneapolis nel Minnesota in USA, ed ha la particolarità di avere il tempio di Vesta o della Sibilla sul lato sinistro, mentre nell'incisione si trova sul lato destro, spostamento non inusuale e che ritroviamo in molte stampe, come quella derivata dalla famosa sanguigna di Fragonard raffigurante la Fontana dei Draghi a Villa d'Este. Da notare che l'opera è conosciuta nei paesi di lingua anglosassone e catalogata nel Museo stesso come "Imaginary Landscape, Italian Harbor Scene" (Paesaggio immaginario, scena di un porto italiano)", mentre il riferimento a Tivoli è ben presente nel titolo in lingua francese.
Fra i luoghi-simbolo dell'Italia del diciottesimo secolo nella cultura francese ritroviamo la nostra città di Tivoli, con due luoghi che hanno sempre affascinato l'immaginario dei pittori d'oltralpe: il fiume Aniene, che precipita in una serie di cascate ed l'acropoli che si trova sull'orlo del dirupo, dove si trovano i resti dei due templi, uno quadrato ed uno rotondo, quest'ultimo conosciuto come il tempio della Sibilla o di Vesta.
Tivoli, o meglio Tibur, il nome latino della nostra città, divenuta famosa ai tempi dell'imperatore Augusto grazie a Mecenate, patrono delle arti, e celebrata dai poeti Catullo e Orazio, ed alle divinazioni della Sibilla Albunea, divenne uno dei motivi più rappresentati della storia della pittura francese. La perfezione dei monumenti architettonici, la sua posizione nel cuore di un paesaggio sublime ed al tempo stesso terrificante, la ricchezza incomparabile della sua storia, e delle leggende, ha reso il sito uno dei luoghi di maggior attrazione per artisti e collezionisti d'arte, che venivano attratti dall'insieme spettacolare.
Risulta che Vernet venne diverse volte a Tivoli per dipingere (specialmente nel 1737). I vari disegni ed olii di Vernet che rappresentano la nostra città, tuttavia sembrano indicare piuttosto un ricordo di questi viaggi, che una rappresentazione fedele vera e propria come questo paesaggio, nel quale sono da notare gli elementi marini, nei quali Vernet era un maestro.
Già quando partì per l'Italia, dal porto di Marsiglia per Civitavecchia nel 1734, fu colpito profondamente dalla vista delle coste francesi ed italiane, tanto che, giunto a Roma, entrò immediatamente anche nello studio di Bernardino Vincenzo Fergioni (1674-circa 1738), detto "Lo sbirretto", noto artista dei paesaggi di mare, che divenne il suo più noto maestro, pittore molto apprezzato nella sua epoca, oggi quasi del tutto sconosciuto.
Vogliamo però ricordare l'incontro di Fergioni con Peter Roos, detto Rosa da Tivoli, che lo spinse ad imitarne lo stile e a dipingere quadri con soggetti di animali. La sua maestria in questo genere è testimoniata da un quadro di caccia conservato a villa Albani (Torlonia), in cui è rappresentato un paesaggio con un cervo ucciso e tre cani a riposo. I due pittori francesi che avrebbero oscurato la fama del Fergioni furono Adrien Manglard (1695-1760) ed appunto Vernet, arrivati a Roma rispettivamente nel 1715 e nel 1734. Il Vernet, non avendo trovato buona accoglienza presso il Manglard, sarebbe stato poi alla scuola del Fergioni, quando questi era in età già avanzata, prima di andare "sur les ports de mer ... faire ses études", come gli era stato consigliato dal direttore dell'Accademia di Francia, Nicolas Vleughels (1668-1737).
La bellezza della trasposizione pittorica non poteva nascere se non dalla scrupolosa osservazione del reale.
A poco a poco Vernet attirò l'attenzione dell'ambiente artistico romano. Ciò che lo distingueva era la capacità, partendo da disegni piuttosto convenzionali, tipici dell'epoca, di fondere usuali osservazioni con particolari effetti e fenomeni atmosferici: questo rendeva assai desuete le sue opere. Vernet, fra l'altro, rappresentando la natura, lasciava vasti spazi (sino a due terzi del quadro) al cielo, nonché alle scene di vita quotidiana che animavano i diversi luoghi. Forse nessun pittore paesaggista o di marine ha mai trattato le figure umane come Vernet. E cioè come elementi primari delle scene rappresentate o comunque considerandole fattori importanti della composizione complessiva. In questo egli fu certamente influenzato da Giovanni Paolo Pannini (1691-1765) che incontrò a Roma e a fianco del quale molto probabilmente lavorò.
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