Nel quarto decennio dell'Ottocento, la nuova arte chiamata fotografia, con il suo inedito approccio percettivo e la ricerca costante di un miglioramento della tecnica stessa, non aveva avuto modo ancora di entrare nella genesi della pittura che cercava sempre una corrispondenza tra realtà e visione dell'autore-artista. La pittura è sempre l'arte che la fa da padrona nel campo della rappresentazione e dell'espressione, anche se fu subito evidente che, fin dalle sue origini pioneristiche, la fotografia era destinata a portare un mutamento molto radicale e profondo. Perciò nel decennio 1847-1857, fotografi di varie nazionalità compirono enormi ricerche, basandosi anche sulle tematiche degli anni precedenti, e s'inserirono nel solco di quel filone sperimentale dedicato alla pittura "paesaggistica", che aveva assunto una propria personalità nell'Europa già dai primi anni dell'Ottocento, in particolare fra Roma, Napoli e i dintorni di Parigi. Questi fotografi, con i loro études aprés nature s'inserirono nel filone en plein air che comprendeva numerosi artisti, i francesi François-Marius Granet e Pierre-Henri de Valenciennes, i pittori della scuola di Barbizon, l'inglese Alexander Cozens, gli italiani Massimo D'Azeglio e Giovanni Battista Bassi, numerosi pittori tedeschi e finalmente l'olandese Abraham Teerlink.
Naturalmente in questi cultori del paesaggio ottocentesco è assente l'idealizzazione astratta seicentesca del paesaggio, volendo privilegiare invece l'osservazione del vero e la restituzione realistica delle forme dello spazio. Permane in questi pittori la lezione dell'Illuminismo proprio per l'abbandono di ogni idealizzazione del paesaggio stesso, anche se le stesse figure che animano i loro quadri non erano certamente i personaggi di tutti i giorni che vivevano miseramente nelle nostre città.
"Le cascate di Tivoli,
all'approssimarsi di una tempesta"
Viene in mente la descrizione che ci dà il favolista e poeta danese Hans Christian Andersen (1805-1875), che nel novembre 1833 e nel febbraio del 1841 aveva accumulato nel suo diario appunti e osservazioni sul paesaggio tiburtino con uno spiccato gusto coloristico per i costumi popolari e l'arte del vivere degli italiani: "La campagna era un deserto senza fine, alcune contadinelle si stringevano intorno a dei fuochi accesi presso la via per scaldarsi, perché era molto freddo; i loro asini scendevano nei fossi per mangiare. Abbiamo visto contadini vestiti di folte pelli caprine come ottentotti", ma poco oltre conclude: "ma le cascate non si possono dipingere e meno che mai descrivere ... Il paese, di una bellezza pittoresca, è sulla roccia, con l'acqua che tutt'intorno sprizzava fuori; le sfumature degli scuri oliveti, dei cipressi quasi neri, dei pampini rossi, del fogliame dorato e dei giovani cactus verdi, erano splendide; il sole brillava ch'era una bellezza ...".
Ecco invece questa splendida opera, "Le cascate di Tivoli, all'approssimarsi di una tempesta", di Abraham Teerlink (Dordrecht, 1776 - Roma, 1857), olio su tela, cm. 101,5 x cm. 141, firmata e datata "Teerlink F(ecit) Romae 1824", gemella dell'opera già presentata su queste pagine, anch'essa conservata nel Rijksmuseum di Amsterdam. Le cascatelle di Tivoli erano naturalmente già un'attrazione turistica ai tempi di Teerlink. L'artista ha voluto segnalare in questo quadro anche il richiamo che esse esercitavano sui viaggiatori e sugli artisti, ritraendo, sotto un cielo minaccioso e tempestoso, una compagnia di viaggiatori che sale sulla collina di fronte alle cascatelle. L'uomo sul cavallo bianco è un pittore, il cui album di schizzi è portato dalla guida nella parte anteriore del gruppo.
Non è la prima volta che i pittori ritraevano loro stessi, di fronte alla maestosità e bellezza del paesaggio tiburtino.
Tivoli - "La cascata di Tivoli" di Abraham Teerlink
È questa la nuova tipologia dell'artista che, lasciati l'atelier, il cavalletto, le tele ingombranti, va in cerca di esperienze diverse. E, nelle vesti di flâneur sui sentieri dell'Émile di Rousseau (la formula è di Valenciennes), vuole essere ricordato. Il punto infatti non è se le tele siano state eseguite all'aperto, ma quanto ci sia di autobiografico nel porsi come un pittore che dipinge dal vivo, come un pittore conquistato dal naturale, "gâté de la nature" (viziato dalla natura), diceva sferzante dal suo iperuranio Jacques-Louis David, demi-dieu di tutti i pittori, in prima fila quelli di storia.
Riguardo al cielo tempestoso, reminiscenza del paese d'origine di Teerlink, notiamo che già più dal secolo precedente la prima generazione d'italiani olandesi, artisti che si recarono in Italia negli anni '20 del XVII secolo si erano ispirati alla luce e all'atmosfera italiane, contribuendo a portare la tradizione italiana del paesaggio nei Paesi Bassi, ma inserendo sempre una nota drammatica che poteva richiamare le brume del nord Europa. Ricordiamo che il pittore ebbe circa centocinquanta allievi nel corso della sua vita, tra cui molti aristocratici inglesi venuti a Roma per completare i loro studi ed è seppellito nella Chiesa romana di San Carlo al Corso.
(luglio 2020)