"La Tempesta" di Giorgione (seconda parte)

a cura di Roberto Borgia

Per la rappresentazione iconografica delle Sibille nell'arte italiana ed europea tra Quattrocento e Cinquecento fu decisiva la pubblicazione, oltre che delle Divinae Institutiones, di Lattanzio, avvenuta nel 1465, anche dell'opera del domenicano Philippus de Barberis (Filippo Barberi o Barbieri), Discordantiae Sanctorum doctorum Hieroymi et Augustini, et alia opuscola, pubblicato a Roma il 1 dicembre 1481, che conteneva anche Sibyllarum de Christo vaticinia: cum appropriatis singularum figuris. La sua descrizione delle Sibille che ci dà Philippus Siculus (altro nome con cui è conosciuto il domenicano, che nacque a Siracusa intorno al 1426) rimarrà per i secoli successivi come quella canonica, ispirando anche il ciclo degli affreschi della Chiesa di S. Giovanni Evangelista a Tivoli, posteriori al 1483. Anche per Barberi la profezia sulla nascita di Cristo è precipua della Sibilla Tiburtina.
Ritornando alla "Tempesta" di Giorgione dove Erminio Morenghi, Nel segno della Sibilla Tiburtina. Dagli incunaboli della palatina alla "Tempesta" di Giorgione riletta in chiave asburgica, Apostrofo editore, 2013, identifica la profezia della Sibilla Tiburtina, anche qui ampio spazio è dedicato a Filippo Barbieri con l'esame dettagliato di alcuni esemplari a stampa della Biblioteca Palatina di Parma, in cui ripercorre la grande fortuna dell'opera in ambito italiano e d'oltralpe attestata dalle diverse edizioni che seguirono la prima romana del 1481.


Ingrandisce foto "La Tempesta"

E per dar corpo all'ipotesi interpretativa della "Tempesta" del Giorgione, lo studioso si sofferma proprio sulla xilografia presente in Barberi: la Sibilla è raffigurata in bianco e nero, delimitata da una breve cornice, e reca sulla parte superiore la dicitura "Tiburtina", campeggia a sinistra, vestita secondo la foggia romana con un mantello annodato che le scende sulle spalle. Ha capelli scoperti, divisi da una lieve scriminatura e raccolti in parte in una treccia che le attraversa il capo. A lato corre un cartiglio svolazzante con scritto: "Nascetur Christus in Bethlehem et annunciabitur in Nazareth regante tauro pacifico". Con la mano sinistra indica all'imperatore Augusto inginocchiato alla sua destra la Vergine con Gesù Bambino inseriti in un cerchio delimitato da una corona, a sua volta inserito in un sole raggiante. Augusto non indossa abiti regali, è raffigurato come una sorta di penitente.

Il simbolo del suo potere imperiale è una corona sormontata da una croce posata a terra vicino a una spada, di cui s'intravede solo l'elsa.
Sullo sfondo figura un tempio con una cupola, la cui facciata presenta una trabeazione con tre colonne.

Sul lato del tempio se ne intravede un altro con relativo timpano. Sotto la xilografia è riportato il testo che spiega l'immagine. Si tratta quindi di una descrizione essenziale della fisionomia e dell'abbigliamento della Sibilla Tiburtina: una Sibilla non vecchia, dai capelli scoperti, che porta una veste rossa sormontata da una pelle di capra che dal collo le scende sulle spalle. Si evince allora come il vaticinio della Sibilla sia legato proprio all'annuncio della nascita di Cristo. Ed ecco allora che nella "Tempesta" del Giorgione la Sibilla Tiburtina si prende cura di Carlo V, figlio di Filippo il Bello d'Asburgo e Giovanna di Castiglia, detta La Pazza, e che era appunto nipote di Massimiliano I d'Asburgo. Il pargolo segnerà l'avvento di una nuova èra anche se segnata da guerre, devastazioni e pestilenze, quella degli Asburgo cristianissimi, che dovranno assolvere il loro mandato messianico di riappacificare il mondo cristiano, in balia della corruzione, del degrado morale ed eretico, delle eresie e degli scismi.

La Sibilla Tiburtina assume perciò un atteggiamento molto protettivo nei suoi confronti, perché è casualmente abbandonato ed ha bisogno di cure nonostante sia sotto la tutela della zia l'arciduchessa Margherita, governatrice delle Fiandre, e del nonno Massimiliano rappresentato dal giovane guerriero con l'asta di comando che lo guarda con dolcezza, quasi volendolo rassicurare. Il destinatario della profezia della Sibilla è perciò proprio il guerriero o meglio il lanzo, se consideriamo la foggia e i colori del suo abbigliamento, munito appunto di una sorta di bastione di comando.
E proprio Massimiliano è identificato, con le testimonianze del tempo, con l'appellativo cruciale di "padre di lanzichenecchi", che avevano appunto calzoni a strisce, come nel particolare dell'opera raffigurata. E le truppe dei lanzichenecchi, al soldo di Carlo V, l'infante allattato dalla Sibilla, saranno quelle che provocheranno il famoso Sacco di Roma nel 1527.

Pertanto ricalcando lo schema classico della manifestazione ad Augusto di Gesù Bambino tra le braccia di Maria, per opera della Sibilla Tiburtina, la cingana (zingara) sembra profferire al giovane lanzo (Massimiliano I d'Austria), che la contempla assorto, una profezia nuova, stavolta relativa ad un'èra prossima ventura che soppianterà il periodo precedente, quello di un cristianesimo paganeggiante e decaduto. Il linguaggio criptato della tela sarebbe stato necessario per una forma di cautela all'atto della traduzione figurativa per le tematiche riservate, assai rischiose sul piano politico e/o religioso.

maggio 2014

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