La pianta illustra una situazione compresa tra gli anni 1610 e 1621. Termine post quem è infatti il 1610, poiché nella pianta è presente la Domus Caesium Familiae (la residenza della famiglia Cesi) nell'attuale zona dell'ex-Teatro Italia ed ex-caffè Bracchetti. Il termine ante quem è il 1621 poiché nella pianta mancano le Scuderie Estensi, la cui costruzione, data l'imponenza, dovette destare grande risonanza nella città. Dalla pianta si vede chiaramente che le due torri maggiori servivano da baluardo, inserite lungo le mura, mentre le due torri più piccole sono nell'interno della città.
Ma le raffigurazioni della Rocca Pia non sono molte, in quanto il monumento era offuscato dai più famosi templi dell'acropoli, dallo spettacolo impressionante della grande cascata e poi, dalla fine del XVI secolo, dalla Villa d'Este, poi dalla riscoperta della stessa Villa Adriana ed infine dalla Villa Gregoriana. Segnaliamo però un piacevole olio di rame, di piccole dimensioni, cm 11,6x15,8, venduto nell'asta Old Masters & British Paintings di Christie's il 5 luglio 2013, realizzando 6.000 sterline inglesi. Si tratta della Rocca Pia, Tivoli, ora in una collezione privata, dipinta con una certa libertà dall'olandese Bartholomeus Breendergh (1598-1657), al quale dobbiamo anche altre raffigurazioni fantasiose di monumenti della nostra città: utilizzava infatti motivi architettonici, come rovine di epoca romana, sfondo indispensabile per tutti quelli che compivano il viaggio a Roma.
Però si nota in quest'olio e in un disegno preparatorio dello stesso artista e anche in un disegno di Claude Lorrain, che avremo modo di presentare in altra occasione, che l'ingresso alla Rocca dal lato Ovest (corrispondente all'accesso attuale) e il relativo ponte (che nell'olio di cui sopra e nella veduta dell'artista francese appare già in muratura) sono preceduti da un rivellino (piccola opera fortificata addizionale), la cui porta esterna nel Breenbergh risulta sovrastata da una lapide.
La porta in questione dovrebbe, in effetti, essere identificata con quella del secondo ponte di cui parla l'annalista tiburtino Giovanni Maria Zappi, ante 1590. In tal caso, sarebbe stato il rivellino stesso (di cui resta il solo terrapieno di sostegno e che risulta già parzialmente diruto in un acquarello degli anni 1794-1798 ascrivibile a William Turner e Thomas Girtin) ad ospitare l'iscrizione, ad ammonimento dei Tiburtini, in seguito murata nell'attuale sede.
(maggio 2019)