Nel terzo terrapieno è invece rimasto un grande muro in opus incertum. La pianta dell'archeologo Giuliani, rilevata fortunatamente prima del crollo della terrazza mediana, permette di renderci conto della lunghezza delle platee (circa 200 m.) e della loro larghezza (circa 50 m. ognuna) a testimonianza della grandezza della villa.
Ai tempi dello Zappi, antico storico Tiburtino del XVI secolo, si riconoscevano ancora diciotto spaziose camere, che formavano l'edificio principale della villa decorato esternamente da colonne doriche. Era riportata anche la presenza di un teatro, di peschiere e fontane.
Grazie allo studio della tecnica edilizia (opera incerta) unitamente ad altre considerazioni, si può ritenere che la costruzione della villa sia avvenuta in tre fasi edilizie diverse che si susseguirono tra il II e la fine del I secolo a.C. (tra la fine della Repubblica e gli inizi dell'Impero) anche se altri interventi, di minore entità, furono apportati anche negli anni successivi.
Se i resti della villa ci possono dar conto soltanto delle sua imponenza, i tesori riportati alla luce nel corso degli scavi svolti fra il 1773 ed il 1846 dimostrano quanto la stessa fosse riccamente decorata di marmi e di sculture di altissima qualità.
Negli anni 1773-75 fu portata avanti una campagna di scavi dal tiburtino Domenico De Angelis e Antonio de Matthias (proprietario del terreno), sotto la supervisione di Giovanni Corrodi (ispettore governativo delle antichità) con l'obiettivo di trovare nuove opere d'arte che sarebbero servite ad arricchire il costruendo Museo Pio-Clementino. Grazie agli scavi, che il Visconti citò come "uno dè più insigni dè nostri tempi" si rinvennero 33 "pezzi" fra cui spiccano le 7 statue di Muse, l'Apollo Citaredo, erme di filosofi e condottieri greci, una statua di Pallade, un fauno, un coccodrillo di marmo nero (custodito nella stanza del Tevere), un mosaico raffigurante una scena nilotica e 6 colonne di marmo.
Inoltre nel Codice Topografico Tiburtino del Lanciani vengono menzionate anche "una statua egizia con sua testa ed altra testa egizia" che il de Matthias vendette al cardinale Albani (raffiguranti il dio greco-egiziano Horus-Zeus Casios).
Pio VI non perse tempo e già nel 1779 furono effettuati nuovi scavi che portarono alla luce altri 39 "pezzi" fra cui l'Erma di Pericle, che suscitò tanto clamore al punto di ispirare dei versi a Vincenzo Monti con un parallelo tra il personaggio greco e il pontefice Pio VI che l'aveva fatta portare subito nelle sale dei Musei Vaticani, come i precedenti pezzi.
È evidente il richiamo di questo opere alla cultura greca, ispirato forse dalla vicina Villa Adriana alla quale è contemporanea.