Villa di Cassio

All'altezza del km 1 dell'attuale strada di Pomata (vecchia arteria per S.Gregorio da Sassola che corre sull'antica via di manutenzione degli acquedotti), nei pressi della "girata delle carrozze", sorge un'altra splendida villa a più piani, non lontana da quella creduta di Bruto. È ben visibile anche a chi percorre la Via di San Vittorino, grazie ai possenti muri di sostruzione delle varie platee, che suggeriscono un'idea di maestosa possanza.
Già nel 945 si trova menzione, nella nota, citata dall'Ughelli, dei fondi spettanti alla chiesa tiburtina pertinente in origine all'anno 884 e rifatta dal vescovo Umberto nel 945, del fundus Cassianus, ove si legge "item vinca in territorio tiburtino ubi ponitur fund Cassan C. Cassii Villa".
Naturalmente sia il fundus che l'odierno viale Cassiano (in passato Carciano) prenderebbero il nome dalla presenza della villa attribuita a Caio Cassio.


Ingrandisce foto Statua della musa Thalia

La villa, grandiosa e molto articolata, poggiava su tre terrazze (un tempo chiamate le piantelle di Carciano) sulle quali non resta altro che qualche rudere.
I resti di maggior pregio della villa erano presenti soprattutto nel terrapieno di mezzo che purtroppo qualche anno fa, in seguito alle prolungate piogge, è crollato, privando la villa di un'opera notevole (già nel 1978 la zona era stata compromessa da un cedimento). Su di esso si apriva un ambiente coperto a botte decorato con motivi geometrici, sovrastante un ninfeo anch'esso dipinto adattato in un criptoportico. Più a sud si trovava una grande cisterna formata da due ambienti comunicanti tra loro.

Nel terzo terrapieno è invece rimasto un grande muro in opus incertum. La pianta dell'archeologo Giuliani, rilevata fortunatamente prima del crollo della terrazza mediana, permette di renderci conto della lunghezza delle platee (circa 200 m.) e della loro larghezza (circa 50 m. ognuna) a testimonianza della grandezza della villa.
Ai tempi dello Zappi, antico storico Tiburtino del XVI secolo, si riconoscevano ancora diciotto spaziose camere, che formavano l'edificio principale della villa decorato esternamente da colonne doriche. Era riportata anche la presenza di un teatro, di peschiere e fontane.


Ingrandisce foto Statua della Musa Melpomene

Grazie allo studio della tecnica edilizia (opera incerta) unitamente ad altre considerazioni, si può ritenere che la costruzione della villa sia avvenuta in tre fasi edilizie diverse che si susseguirono tra il II e la fine del I secolo a.C. (tra la fine della Repubblica e gli inizi dell'Impero) anche se altri interventi, di minore entità, furono apportati anche negli anni successivi.
Se i resti della villa ci possono dar conto soltanto delle sua imponenza, i tesori riportati alla luce nel corso degli scavi svolti fra il 1773 ed il 1846 dimostrano quanto la stessa fosse riccamente decorata di marmi e di sculture di altissima qualità.

Negli anni 1773-75 fu portata avanti una campagna di scavi dal tiburtino Domenico De Angelis e Antonio de Matthias (proprietario del terreno), sotto la supervisione di Giovanni Corrodi (ispettore governativo delle antichità) con l'obiettivo di trovare nuove opere d'arte che sarebbero servite ad arricchire il costruendo Museo Pio-Clementino. Grazie agli scavi, che il Visconti citò come "uno dè più insigni dè nostri tempi" si rinvennero 33 "pezzi" fra cui spiccano le 7 statue di Muse, l'Apollo Citaredo, erme di filosofi e condottieri greci, una statua di Pallade, un fauno, un coccodrillo di marmo nero (custodito nella stanza del Tevere), un mosaico raffigurante una scena nilotica e 6 colonne di marmo.
Inoltre nel Codice Topografico Tiburtino del Lanciani vengono menzionate anche "una statua egizia con sua testa ed altra testa egizia" che il de Matthias vendette al cardinale Albani (raffiguranti il dio greco-egiziano Horus-Zeus Casios).
Pio VI non perse tempo e già nel 1779 furono effettuati nuovi scavi che portarono alla luce altri 39 "pezzi" fra cui l'Erma di Pericle, che suscitò tanto clamore al punto di ispirare dei versi a Vincenzo Monti con un parallelo tra il personaggio greco e il pontefice Pio VI che l'aveva fatta portare subito nelle sale dei Musei Vaticani, come i precedenti pezzi.
È evidente il richiamo di questo opere alla cultura greca, ispirato forse dalla vicina Villa Adriana alla quale è contemporanea.

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