Secondo un'ipotesi più recente, formulata da Giuliano Montelucci (1899-1983), uno tra i più noti botanici italiani del '900, questa pianta sarebbe invece spontanea, giunta in Italia in periodi geologici più lontani insieme a molte altre specie aventi la stessa origine geografica. Styrax avrebbe superato le glaciazioni quaternarie soltanto in aree particolarmente protette di questi rilievi calcarei, dai quali si sarebbe poi ridiffusa nei dintorni. Altri elementi di interesse di questa pianta sono costituiti dalle sue eccellenti proprietà mellifere e dalla produzione, di cui esistono testimonianze ancora fino al '600, di una resina, denominata "balsamo storace", ricavata per incisione della corteccia ed utilizzata in medicina e in profumeria. Essa era anticamente prescritta nelle affezioni delle vie respiratorie ed usata come antisettico e cicatrizzante.
Lo strato erbaceo del bosco di Grotte Cerqueta è costituito da un gran numero di specie, alcune delle quali, come l'anemone dell'Appennino
(Anemone apennina), tappezzano letteralmente il bosco. Comunissime sono anche i ciclamini (Cyclamen repandum e C. hederifolium), la viola silvestre (Viola reichenbachiana), l'iva comune (Ajuga reptans). Si osserva con una certa facilità anche il gigaro a foglie sottili (Biarum tenuifolium), specie protetta nel Lazio (L. R. n° 61/1974), abbastanza diffusa in tutta l'area cornicolana.
Altra specie protetta osservabile a Grotte Cerqueta è Linaria purpurea, grazioso endemismo appenninico. In zone più aperte e più assolate, ai margini del bosco, si osservano formazioni di tipo garigoide costituite tra gli altri da storace, siliquastro, marruca, terebinto, pero mandorlino (Pyrus amygdaliformis), biancospino (Crataegus monogyna), asparago pungente (Asparagus acutifolius), stracciabraghe (Smilax aspera) ed un gran numero di specie erbacee, tra le quali la carlina raggio d'oro (Carlina corymbosa), il perpetuini
d'Italia (Helichrysum italicum), la calcatreppola ametistina (Eryngium amethystinum), l'euforbia cespugliosa (Euphorbia characias), il gladiolo dei campi (Gladiolus italicus), il muscari azzurro (Muscari botryoides), l'anemone fior-stella (Anemone hortensis) e l'anemone dei fiorai (Anemone coronaria), la scilla
autunnale (Scilla autumnalis), le perline (Odontites lutea e O. rubra), il trifoglio stellato (Trifolium stellatum). Già nella prima metà di gennaio vi si possono osservare in fiore diverse graziose geofite, come lo zafferano selvatico (Crocus biflorus), lo zafferanetto comune (Romulea bulbocodium) e l'aglio minuscolo (Allium chamaemoly).
Dal punto di vista floristico tuttavia uno degli aspetti di maggiore interesse di Grotte Cerqueta è costituito dalla notevole ricchezza di orchidee spontanee, presenti con ben 27 diverse entità tra specie, sottospecie ed ibridi. Vi si osservano specie comuni nel Lazio, come Anacamptis pyramidalis, Ophrys apifera, O. bertolonii, O. holoserica, O. incubacea, O. sphegodes, Orchis coriophora, O. morio, O. papilionacea, O. purpurea, O. provincialis, Platanthera bifolia, Serapias vomeracea, Spiranthes spiralis ecc., ma anche specie meno comuni, come Ophrys tenthredinifera e O. bombyliflora, o anche rare, come gli ibridi Ophrys apifera x O. holoserica e O. holoserica x O. tenthredinifera. Anche Ophrys tyrrhena, molto diffusa a Grotte Cerqueta, è poco comune nel Lazio, dove si osserva in poche località situate quasi tutte nella porzione centro-meridionale della fascia costiera.
Si tenga presente che tutte le orchidacee italiane sono tutelate in virtù del regolamento
338/97/CEE. Proprio a Grotte Cerqueta un grosso curculionide (Brachycerus undatus) è stato sorpreso più volte a cibarsi delle foglie e degli steli di molte orchidee, dei fiori delle Orchis e dei labelli delle Ophrys. Che questo coleottero, che si nutre per lo più di altre Monocotiledoni, si cibasse anche di Orchidaceae non era noto prima delle osservazioni effettuate, ormai quasi una ventina di anni fa, per la prima volta in quest'area.
Altro elemento di grandissimo interesse floristico, rinvenuto molto recentemente prima nei boschi di Poggio Cesi e successivamente in quelli di Gattaceca e Grotte Cerqueta, è il melo ibrido (Malus fiorentina). Si tratta di una interessante ed enigmatica rosacea descritta da Attilio Zuccagni nel 1809, su esemplari toscani dei pressi di Firenze, con il nome di Crataegus fiorentina. Da quel momento ad oggi questo taxon è stato di volta in volta attribuito a ben 8 diversi generi, considerato come un ibrido interspecifico o intergenerico ed indicato con una incredibile sequenza di nomi diversi. Questo piccolo melo selvatico a portamento arbustivo è stato rinvenuto per la prima volta nel Lazio nel 1991 (Monte Rufeno, alto viterbese), quindi segnalato nel 2000 per i Monti Ausoni (Lazio meridionale). Il recente rinvenimento di questa specie nei Monti Cornicolani (terza stazione laziale) viene pertanto a colmare la lacuna distributiva riguardante la porzione centrale della regione laziale.