Tutti
i popoli dell'antichità si raccoglievano per combattere
intorno a simboli e figure fantastici e bizzarri che issavano
sui loro vessilli e sui loro scudi (i Cartaginesi ad es.,
tanto per citarne alcuni, avevano la testa di cavallo, i Romani
l'aquila, i Goti l'orsa, gli Ateniesi la civetta).
Questa quindi l'origine degli stemmi o arma etimologicamente
collegati al vocabolo bellum. Lo stemma tiburtino è
sicuramente uno dei più antichi d'Italia anche se si
è molto discordi circa la sua origine senza dubbio
molto remota come testimoniano alcuni reperti dell'arma in
questione ancora incorporati sulle facciate di alcuni edifici
di cui più avanti si parlerà. Secondo
Silla Rosa De Angelis, i Tiburtini pensarono di adottare il
simbolo, (costituito da due torri poste ai lati di un ponte
con tre archi al di sotto del quale scorre un fiume, vale
a dire l'Aniene), dopo aver letto i versi che il poeta latino
Properzio aveva dedicato a Tibur, in cui la sua donna Cinzia,
alias Ostia, aveva una villa.
Tale dimora era situata sul colle di Quintiliolo non molto distante da quella di Quintilio Varo e prospiciente sia la Villa di Mecenate che l'Acropoli tiburtina (rinomata allora come attestano anche i versi di Giovenale e di Marziale per il valore dei suoi cittadini, per la presenza dell'Aniene che la difendeva circondandola, per il luogo alto e inaccessibile).
Tuttavia almeno all'inizio lo stemma non era come l'attuale
(con l'aquila imperiale tra i torrioni); era costituito infatti
solo da due torri poste ai lati di un ponte con tre arcate
su un fiume; su una torre era scritto "Nobilitas"
in quanto Tibur era politicamente indipendente, sull'altra
"Libertas" essendo governata dagli ottimati; sulla
fascia che si estendeva tra le due torri era scritto "
S.P.Q.T."(sigla delle parole Senatus Populusque Quiritium
Tiburtinorum che significa "il Senato ed il popolo dei
Tiburtini Quiriti").
L'aquila imperiale compare con la
venuta del Barbarossa; Tivoli infatti, essendo stata saccheggiata
dai Goti e non essendo abbastanza difesa dal Papa, chiese
aiuto allo svevo imperatore, che per evitare eventuali imboscate
a Roma, preferì accamparsi nel 1155 con la corte pontificia
di Papa Adriano IV vicino Ponte
Lucano.
Qui ottenne dai Tiburtini ghibellini le chiavi della città e molte vettovaglie non che la sottomissione della città giurisdizionalmente soggetta allo Stato pontificio. Per ricompensare la città tiburtina, Federico l'ampliò, dotandola di fossati e fortificando ulteriormente la cinta muraria, in una parola ricostruendola dopo le lotte con i Romani.
Il
pontefice logicamente protestò e Federico, quale protettore
della Chiesa romana, sciolse i Tiburtini dal giuramento di
fedeltà fattogli e li riconsegnò alla sottomissione
del Papa. Il Barbarossa tuttavia (lo sostengono anche alcuni
umanisti come Biondo Flavio) concesse a Tivoli il diritto
di fregiare il proprio stemma con l'aquila imperiale. Non
bisogna dimenticare infatti che in quel tempo era esclusivo
privilegio dell'imperatore concedere ornamenti per abbellire
ancor di più gli stemmi o permettere che se ne creassero
altri ex novo. In quegli anni era molto facile individuare
se una città era guelfa o ghibellina semplicemente
osservandone lo stemma: nel caso dei guelfi l'aquila era rossa
mentre nei simboli ghibellini era nera.
Alcuni però (e tra essi il Pacifici) sostengono che
l'arma tiburtina inizialmente consisteva nella sola aquila
imperiale ancor molto prima della discesa del Barbarossa essendo
Tivoli da sempre ghibellina ed essendo compresa nel territorio
della Prefettura Urbana, che designava giudici, magistrati
e notai per un raggio di 100 miglia.
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