La grotta Polesini si trova sulla sponda destra dell'Aniene presso il Ponte Lucano ed è stata messa in luce nel 1953 da A. M. Radmilli che rinvenne, insieme a vario materiale litico ed osseo, un ciottolo calcareo su cui appare il graffito di un lupo ( oggi conservato nel museo "L. Pigorini" di Roma). L'animale è ritratto nel momento in cui sta per cadere colpito dai giavellotti (piccoli forellini riproducono le presunte ferite). Probabilmente il ciottolo non è altro che un disegno propiziatorio per la prossima caccia come lo è anche il frammento osseo di un bacino appartenente ad un cervo; su di esso è rappresentata una scena di caccia in cui tre cacciatori trafiggono con le loro lance un animale.
Fu proprio il Radmilli a darle il nome Polesini in onore del marchese Francesco Polesini di Parenzo d'Istria. La grotta presenta un'apertura verso Sud il che permette di dire che era molto assolata e calda e quindi era un ottimo riparo per i primitivi. E' costituita da una parte esterna lunga ca. 22 m. costituente detto riparo largo ca. 12 m.; da qui inizia un corridoio che conduce ad un inghiottitoio. Qui c'è una saletta che dà su un piccolo lago non molto profondo (in alcuni punti 5 m.).
L'area, in cui la grotta si trova, doveva essere molto appetibile per la presenza di selvaggina, di acqua e di bacche per cui era l'ideale per gli uomini paleolitici che provenivano dall'interno della Sabina, dalla lontana Marsica, dall'Abbruzzo e, seguendo un sentiero preistorico (divenuto poi la via Valeria) ed attraversando l'Aniene nel punto facilmente guadabile (l'Acquoria), potevano raggiungere la pianura romana insediandosi nei vari antri di Ponte Lucano, di Montecelio e nelle zone collinari situate vicino le paludi di Bagni di Tivoli. Proprio in una cava di travertino (Le Caprine) furono riportate alla luce nel 1866 punte di frecce, scheletri umani con il cranio rivolto verso Est a testimonianza che nel periodo neolitico era iniziato il culto dei defunti.