I Romani e gli acquedotti

Nel De aquis urbis Romae di Frontino è riportato che gli abitanti utilizzarono per i successivi 441 anni alla fondazione di Roma (753 a.C.) il “biondo” Tevere, i pozzi e le sorgenti che però, visto l'aumento demografico dell'Urbe, già nel 312 a. C., non erano più sufficienti. Fu pertanto dato avvio alla colossale e impegnativa costruzione degli acquedotti, che si protrasse nel tempo comportando un notevole impiego di risorse finanziarie e di manodopera.
Per Dionigi di Alicarnasso infatti “la grandezza dell'impero romano si rivelava mirabilmente in tre cose: gli acquedotti, le strade, le fognature". Dello stesso avviso anche Plinio il Vecchio: "Chi vorrà considerare con attenzione … la distanza da cui l’acqua viene, i condotti che sono stati costruiti, i monti che sono stati perforati, le valli che sono state superate, dovrà riconoscere che nulla in tutto il mondo è mai esistito di più meraviglioso".

Ponte Lupo
Ingrandisce foto Ponte Lupo

Orbene Roma costruì ben undici acquedotti ad iniziare dal 312 a.C. col risultato che gli antichi Romani ebbero una disponibilità d'acqua pro capite pari a circa il doppio di quella attuale. L'acqua veniva distribuita: nelle domus (case patrizie, ma neppure a tutte poiché veniva concessa come “premio” al patrizio per aver fornito qualche favore); nelle 1.300 fontane pubbliche disseminate lungo le vie urbane (ad esse attingevano i plebei che abitavano nelle insulae, palazzi a più piani e privi di acqua); nelle 11 terme pubbliche (frequentate da tutti per lavarsi e per curare il corpo); nelle 900 piscine: nelle 15 fontane monumentali; nei laghi artificiali e, per finire, nelle naumachie (in latino naumachia, dal greco antico ναυμαχία/naumachía, letteralmente «combattimento navale», indica nel mondo romano sia uno spettacolo rappresentante una battaglia navale sia il bacino, o in senso lato l'edificio in cui si tenevano).

Per ben due secoli e mezzo furono gli imprenditori privati a curare la sorveglianza, la manutenzione e la distribuzione delle acque. Ne rispondevano davanti a magistrati che avevano altri compiti principali. Poi nel 30 a.C. Agrippa creò un apposito servizio. Suo compito: occuparsi dell’approvvigionamento idrico cittadino e quindi controllare e fare una corretta manutenzione di tutti gli acquedotti. Spettò al primo imperatore romano, Augusto, perfezionarlo. Chiaramente col tempo, per rispondere al continuo aumento demografico, non bastarono più gli undici predetti acquedotti ma fu necessario, come riporta un catalogo del IV secolo fissandone il numero a 19, costruire svariati rami e diramazioni secondarie.

Ponte della Mola
Ingrandisce foto Ponte della Mola (S.Gregorio da Sassola)

Tuttavia se non si poteva fare a meno allora si scavavano gallerie come quella del Furlo, oppure si tagliava il fianco delle montagne come in Valle d'Aosta o a Terracina. Per quanto riguarda i ponti Roma ne costruì più di 2000; alcuni sono ancora oggi talmente perfetti da lasciare senza parole come quello di Alcantara in Spagna, quello di Cordoba sempre in Spagna, quello di Traiano sul Danubio. La realizzazione delle arcate era preceduta da quella di un recinto di legno cosparso di pece per impermeabilizzarlo; ciò doveva fornire la base del costruendo pilastro.

Delle pompe provvedevano a svuotare l'acqua del fiume all'interno del recinto dopo di che si iniziava la costruzione del pilastro in muratura. I vari pilastri erano poi uniti da arcate realizzate sfruttando come forma le centine; quindi sulle arcate si ponevano i conci (blocchi di pietra squadrati) o i mattoni.

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