Nella Roma arcaica tre erano i tipi di matrimonio utlizzati: la confarreatio, l’usus e la coemptio.
La confarreatio era l’unico matrimonio religioso allora praticato; gli sposi, entrambi patrizi, sedevano su uno scanno coperto di pelle e mangiavano una focaccia di farro offerta a Giove capitolino. Per sciogliere il matrimonio in questo caso occorreva fare un’altra cerimonia detta differatio.
La coemptio era invece la compravendita della sposa plebea da parte dello sposo patrizio;
l’usus conisteva nella convivenza ininterrotta per un anno della sposa patrizia con lo sposo plebeo; al termine di questo periodo la coppia era ritenuta marito e moglie a tutti gli effetti. In tutti e tre i tipi di matrimonio la donna non era libera ma passava dalla proprietà di suo padre a quella del marito.
Si potevano definire questi tre matrimoni cum manu (vale a dire sottoposta alla giurisdizione del marito); sposandosi la donna portava una dote che in caso di ripudio il marito non le restituiva per cui non poteva risposarsi in seconde nozze in quanto nessuno l’avrebbe risposata senza dote. Il diritto di ripudiarla era solo prerogativa del coniuge che lo faceva anche per futili motivi. Ne’ poteva ereditare poiché era il marito o i figli se costui era morto che ereditavano per lei.
Il paterfamilias all’inizio aveva anche il diritto di ucciderla (ius necandi) e di non riconoscere il figlio appena nato (ius repudiandi) che veniva posto ai suoi piedi; se egli lo riconosceva come figlio lo sollevava da terra altrimenti il neonato veniva abbandonato nelle pubbliche discariche e quindi condannato ad una morte certa.
Il marito (parterfamilias) era praticamente impunibile: poteva uccidere anche i figli e i servi, poteva venderli come schiavi (ius vendendi) per ben due volte; poteva incamerare i beni della moglie e risposarsi tutte le volte che voleva semplicemente ripudiando la donna divenuta sua sposa. A poco a poco però le cose cambiarono ed il paterfamilias cominciò a perdere tutti i suoi discutibili diritti.
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