Le notizie sulla realizzazione, l’amministrazione, la gestione e la normativa che regolava l’approvvigionamento idrico dell’antica Roma e la costruzione degli acquedotti, sono fornite da Frontino, curator aquarum, dal 97 al 103-104, nel suo trattato "De aquis urbis Romae". Esso è l'unica e più autorevole fonte per la conoscenza delle tecniche, delle misurazioni e delle metodologie costruttive e distributive, delle leggi, editti e decreti sull'argomento. Vi è riportata integralmente in particolare la lex Quinctia de aquaeductibus promulgata a Roma sotto Augusto dal console Tito Quinzio Crispino Sulpiciano per la regolamentazione degli acquedotti.
Nel periodo repubblicano fino al'affermazione dell'impero, era il censore ad avere la cura aquarum. Questo magistrato, responsabile delle opere pubbliche, era generalmente affiancato da un edile curule (in latino aediles: erano magistrati di antiche città sabine e latine, tra cui Roma), responsabile del demanio, e dai questori, cui competeva il finanziamento per la realizzazione dell’acquedotto, le spese per la sua manutenzione e per il pagamento delle maestranze, e la riscossione degli eventuali canoni di utilizzazione. Era il censore ad affidare, per appalto, la realizzazione dell' acquedotto; spettava a lui il collaudo finale. L’edile invece si occupava della distribuzione delle acque e dell’erogazione.
Marco Vipsanio Agrippa, politico e generale romano, amico di Ottaviano, con il consenso di quest'ultimo, divenuto imperatore col nome di Augusto, dal 33 al 12 a.C. monopolizzò nelle sue mani il controllo di tutto l’apparato idrico della città. Morto Agrippa, la gestione passò nelle mani di Augusto che la affidò ad un’équipe di tre senatori trasformandola in un vero e proprio ufficio, in cui uno dei tre, di livello consolare, assumeva la carica di curator aquarum.
Costui aveva una grande importanza poiché controllava la gestione delle risorse idriche urbane, la manutenzione degli impianti e degli interventi, la regolarità e distribuzione del flusso. Ai suoi ordini numerosi tecnici, architetti e ingegneri, amministrativi nonché i 240 schiavi del defunto Agrippa, divenuti, per volontà di Augusto,“schiavi pubblici”, mantenuti dallo Stato, con mansioni varie. Ad essi, regnando Claudio, si aggiunsero altri 460 mantenuti direttamente dalle finanze imperiali.
Con Diocleziano e con i suoi successori, il controllo degli acquedotti fu invece affidato al praefectus urbis.
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