Archivi parrocchiali tiburtini (prima parte)
La grande Riforma seguita al Concilio di Trento (1545-1563) impose l'uso obbligatorio di istituire i registri parrocchiali dove, in forme non subito univoche, anzi, piuttosto 'sussultorie', si introdusse per i battezzati l'uso del nome di famiglia. Gli Archivi ecclesiastici divennero in breve tempo i depositari di un patrimonio documentario d'immenso valore, il cui studio contribuisce alla ricostruzione di larghissima parte della storia italiana. Le registrazioni dei battesimi da parte delle singole parrocchie costituiscono le prime fonti ecclesiastiche messe in opera molto prima che fossero rese obbligatorie e da un primitivo carattere religioso assunsero ben presto un ruolo essenziale sotto il profilo civile, dal momento che fino al secolo XIX la competenza anagrafica fu riservata quasi esclusivamente all'autorità ecclesiastica.
Stato di conservazione di un documento
In quei secoli i censimenti civili rivestivano carattere occasionale, in genere dovuti a esigenze fiscali: è il caso, eccezionale per antichità e qualità delle informazioni, dell'Estimo del Sale del 1415 che presenta l'accurata descrizione di ogni famiglia di molte località della Bassa Val Parma. Solo con il Concilio di Trento si impose la tendenza a registrare lo stato e il movimento della popolazione (gli status animarum, registrazione dei battesimi, matrimoni e morti): l'obbligo per i parroci della tenuta dei registri di battesimo e matrimonio è del 1563, mentre quella del registro dei defunti è del 1614.
Si tratta di 'Atti' dal valore giuridico unico e prezioso, che documentano la vita storica di unità territoriali minime come le parrocchie, depositari della radice delle nostre stesse famiglie, ma che purtroppo hanno subito nel corso dei secoli numerose perdite, oltre a vivere a tutt'oggi una stato di incredibile degrado.
Negli archivi diocesani si conserva la documentazione precisa atta a ricostruire le storie locali. Fondamentali i documenti sulle visite pastorali effettuate dal Vescovo almeno ogni 5 anni, dove è descritto con precisione il patrimonio parrocchiale, ma anche gli arredi, le informazioni sulle cappellanie e sulle confraternite, l'elenco dei 'benefici' parrocchiali, dei lasciti alla Chiesa, dello ius patronati.
La maggior parte dei documenti ecclesiastici sono redatti in latino, sulla base di un formulario che, sia pure in evoluzione attraverso i secoli, è abbastanza consolidato; frequenti sono le abbreviazioni di carattere paleografico, da sciogliere tramite il confronto tra documenti.
Tre sono i fondamentali raggruppamenti archivistici della "regione Tiburtina":
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a) Archivi dei capoluoghi e relativi fondi archivistici eventualmente
trasferiti in altre sedi
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b) Archivi dei centri minori diocesani
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c) Archivi complementari diocesani
Nata l'archiviazione nel Medioevo, ne fu sancita l'obbligatorietà solo con la costituzione
apostolica Maxima vigilantia di papa Benedetto XIII nel 1727. Particolare cura viene dedicata alla buona custodia dei libri dei battezzati, dei confermati, dei matrimoni, dei morti, gli status animarum e il registro delle riscossioni delle decime annuali.
Un vero ufficio di "stato civile" nacque solo con il periodo napoleonico ma ratificato pleno iure solo con la proclamazione dell'unità d'Italia. Gli atti parrocchiali, completati dalle autenticazioni da parte della Cancelleria Diocesana, hanno tuttora immediata efficacia giuridica se anteriori a quanto disposto dal Regio decreto del 15/11/1865 n. 2062 sull'ordinamento dello Stato Civile dei Comuni Il Nuovo Codice di Diritto Canonico, promulgato da Giovanni paolo II nel 1983 prevede l'esistenza di un "Archivio Storico" in ciascuna diocesi e fornisce disposizioni per la cura, la conservazione, la valorizzazione del patrimonio documentario.
Parleremo successivamente dei "fondi" conservati negli Archivi della Diocesi.
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