Dopo Piranesi, proprio la bottega di Giovanni Volpato diviene, negli ultimi due decenni del XVIII secolo, un importante centro di elaborazione artistico culturale legata alle nuove tendenze del gusto neoclassico, che intrattiene contatti con tutta l'Europa, coinvolgendo ricche committenze e diversi artisti. Attraverso Volpato giunsero a Roma intere famiglie di incisori come i Cunego, i Folo, i Fontana, ed artisti della grandezza del Canova. Sono anni in cui fervono diverse iniziative tese a tradurre nel linguaggio incisorio interi cicli pittorici e molte opere classiche di autori ormai riconosciuti e apprezzati come maestri universali quali Michelangelo, Raffaello, i Carracci, Correggio. Nasce e si consolida l'incisione neoclassica, con i suoi canoni e le sue ferree leggi. Per il nostro discorso evidenziamo però che quelli sono anche gli anni che vedono rifiorire la passione per il paesaggio e svilupparsi il gusto per la veduta pittoresca, tendente a sottolineare gli usi e i costumi di tante caratteristiche realtà locali.
A Roma, un particolare impulso a questo genere era venuto proprio dal Volpato e dalla sua bottega, che aveva introdotto un gusto delicato ed atmosferico nelle sue vedute romane, ma anche dalla sua fruttuosa collaborazione proprio con il Ducros con il quale contribuì alla nascita ed al concretarsi di un mercato basato sulle stampe incise a contorno e successivamente acquerellate. . Mentre colorava le grandi incisioni che quello produceva, Ducros seguitava a dipingere vedute di Roma e dei suoi dintorni. Dipinse in acquarello, tempera ed olio e raramente firmò o datò i suoi lavori originali. Qualche piccolo acquarello e alcune stampe presentano delle date, ma i grandi dipinti datati sono pochi. In questo acquarello su carta "Vue de Tivoli avec le Temple de la Sibylle", circa 1785, cm. 53,2 x 74,2, Musée cantonal des Beaux-Arts, Lausanne, inv. n. 906, abbiamo uno dei più famosi scorci di Tivoli, prima del disastro del 1826. Il tempio di Vesta troneggia sopra il Ponte della Cascata o di S. Rocco che riedificato per l'ennesima volta, questa volta in pietra intorno all'anno 1685 era stato chiuso nel secolo seguente da un doppio, alto parapetto, con ferrate ansate.
L'8 novembre 1808 crollò insieme con alcuni fabbricati della sponda sinistra. Ebbe vita più breve poi il ponte di legno che fu ricostruito, fino a quando il Ponte Gregoriano permise finalmente un comodo passaggio verso l'Abruzzo. Sul lato sinistro il rione di S. Lucia, sul lato destro quello di Cornuta, con l'edicola di S. Giacinto, ricoperta nel 1834. Il Santo veniva festeggiato il 16 agosto, quando la confraternita di S. Maria del Ponte doveva erigere a proprie spese, sul ponte medesimo, un altare con sei lumi, dove il priore di S. Biagio, dinanzi alla magistratura, impartiva la benedizione delle acque con le reliquie, mentre si gettava nel fiume un cero, cerimonia derivata da quella più famosa del 14 agosto, la sera dell'Inchinata. Da notare la presenza delle lavandaie, che Ducros ritrarrà anche nel lavatoio pubblico in un gustoso acquarello, già pubblicato in questa rubrica.