"Veduta di Tivoli con la cascata dell'Aniene " (prima parte) di Gaspar van Wittel

a cura di Roberto Borgia

Questa meravigliosa tela di Gaspar van Wittel (1653-1736), che anche noi chiameremo "Veduta di Tivoli con la cascata dell'Aniene", (così come essa è catalogata nella Collezione Banca Popolare di Novara - Gruppo Banco Popolare www.patrimonioculturale.bancopopolare.it) è particolarmente rilevante perché, con la data "1691" riconoscibile sul canale in basso a destra, rappresenta la più antica esecuzione di questo soggetto finora conosciuta, anche se, oltre ai dodici dipinti catalogati con questo panorama, è ricordato in un inventario della collezione Sacchetti, databile poco dopo il 1688 un esemplare con la stessa visuale, che ne testimonierebbe la più antica esecuzione.
Il dipinto deve la sua fortuna alla bellezza del panorama raffigurato e all'eccezionale resa pittorica, ed è infatti secondo soltanto, come numero di repliche, alla raffigurazione della "Darsena delle galere a Napoli", conosciuta finora in ventidue esemplari.
Questo quadro, dalla forma ovale, risulta essere il pendant della "Veduta dell'Aniene prima della cascata", conosciuta finora in cinque versioni, di cui una, sempre dalla forma ovale, nel patrimonio della stessa Banca.


Ingrandisce foto "Veduta di Tivoli con la cascata dell'Aniene"
di Gaspar van Wittel

La versione della cascata con lo spettacolare salto ebbe perciò un notevole successo presso i collezionisti e viaggiatori del primo settecento, rispetto alla visione idilliaca della cascata vista da dietro, che pure è notevole, per la bellezza del panorama raffigurato e per mostrare uno spaccato vero e proprio della vita della nostra città all'inizio del XVIII secolo.
Abbiamo già parlato esaurientemente del paesaggio raffigurato e che ricordiamo brevemente ai nostri lettori: da sinistra il Ponte di S. Rocco,che portava alla chiesa di S. Maria del Ponte o di S. Rocco e all'ospedaletto. Certo la visione è abbastanza libera, in quanto con un unico colpo d'occhio l'artista ha voluto riprendere più cose possibili, così che, se avesse voluto rispettare la realtà, avrebbe dovuto girare il punto di vista dell'isola, dove sono la Chiesa di S. Maria del Ponte e l'ospedaletto, di almeno trenta gradi, ma in tal modo sarebbe stato oscurato in parte lo spettacolo della cascata vecchia; soprattutto, nel dipinto, la cascata non finisce subito nel baratro, ma in un tratto orizzontale inesistente, così come, appunto, non viene evidenziato il baratro sopra il quale esisteva la chiesa di S. Rocco.

In luogo del baratro è posto infatti un piano ondulato dal quale discende un inesistente ruscello che passando sotto il ponte di S. Rocco va a congiungersi con l'Aniene ai piedi della cascata, proprio nel punto ove il fiume s'inabissava nella grotta di Nettuno; e a posto dei paurosi precipizi chiamati "bocca dell'inferno", van Wittel ha sostituito collinette ridenti, con figurine in un paesaggio idilliaco di scene domestiche. Notare i resti di un ponte più antico, all'altezza del vecchio ciglio della cascata: tale ponte che congiungeva Tivoli alla Via Valeria si dimostra, anche dai ruderi che appaiono in un'incisione del Venturini anteriore di una cinquantina d'anni a questa tela, come un ponte-acquedotto, cioè rispondente ad una duplice funzione. I resti di tale costruzione furono completamente travolti da una delle numerose piene del fiume Aniene, nel gennaio 1725.

Come detto, la zona raffigurata era una vera e propria isola, il borgo Cornuta, proprio perché sosta necessaria per le mandrie transumanti, e il borgo occupava all'incirca tutta l'area oggi compresa fra il fiume, l'antico canale detto "Stipa" e gli attuali ex Hotel Sirene (la Chiesa era proprio in questo luogo e in un ambiente inferiore, una vera e propria cripta, vi era la sala congregazionale dei confratelli di S. Maria del Ponte), Ponte Gregoriano e Largo S. Angelo.

La Chiesa, sempre in pericolo per l'erosione del fiume con le varie inondazioni, ebbe il colpo finale assestato dall'incendio provocato il 27 novembre 1835 dai fuochi d'artificio, che erano stati lavorati proprio in alcuni locali annessi alla Chiesa e dove poi rimasero per lungo tempo i meccanismi e gli avanzi della macchina utilizzata, dopo la cerimonia dell'inaugurazione dei cunicoli gregoriani del 6 ottobre 1835.
Si stavano riparando le devastazioni dell'incendio, ma il destino era segnato, quando il 6 febbraio del 1836 una piena penetrò nella grotta di Nettuno, nonostante i cunicoli gregoriani, ormai costruiti per evitare future inondazioni della città, assorbissero la metà della piena del fiume Aniene, distruggendo gran parte della scogliera, che era collegata con quella di fronte e allora venne il timore che potesse essere travolta anche la Chiesa, e siccome fu stabilito che non conveniva economicamente, anzi non si poteva più, conservare la chiesa, tolte le poche suppellettili sacre sopravvissute all'incendio dell'anno precedente, si stabilì di demolirla perché appunto ritenuta pericolante e di pregiudizio ai lavori nella sottostante grotta di Nettuno sfaldatasi nella piena.


(ottobre 2014)
L'immagine è concessa in esclusiva per il Notiziario Tiburtino e per il sito www.tibursuperbum.it

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