Questa volta ci allontaniamo da Tivoli, ma rimanendo nella sua Diocesi, ora ampliata con quella di Palestrina e approfittiamo della Mostra “Tivoli medievale. Una città da riscoprire”, curata da Maria Antonietta Tomei, ospitata nel Museo della città a Piazza Campitelli, per illustrare il rilievo ligneo (la riproduzione in grande formato è presente nella Mostra) ubicato nella cappella del crocifisso, parte sinistra del presbiterio, all’interno nella parete destra, della Chiesa di Santa Maria della Mentorella, a Guadagnolo, frazione del Comune di Capranica Prenestina: da notare che Guadagnolo faceva parte della Diocesi di Tivoli, a differenza del Comune di Capranica Prenestina, ricadente appunto nella Diocesi di Palestrina.
Il rilievo in legno intagliato raffigurante la Consacrazione dell’altare e apparizione di Gesù Cristo a Sant’Eustachio, 115 x 120 cm., spessore 4 cm., XII secolo, costituisce una preziosa testimonianza della storia del Santuario di Santa Maria della Mentorella con le rappresentazioni della messa di dedicazione della chiesa alla Vergine da parte di papa Silvestro e l’apparizione di Gesù tra le corna di un cervo a S. Eustachio. Secondo la tradizione la chiesa fu edificata al tempo dell’imperatore Costantino e consacrata da San Silvestro proprio nel luogo dove Cristo era apparso miracolosamente al nobile romano Placido, il quale, dopo questa visione, si convertì al Cristianesimo, prendendo il nome di Eustachio.
Il Santuario, di remota fondazione, collegato alle leggende di S. Silvestro e di S. Benedetto, sorge in luogo altamente suggestivo. Sotto la cima dell’alto monte Guadagnolo, estrema punta dei Prenestini, quasi inaccessibile fino alla prima metà del secolo passato, in antico era circondato da fitti boschi, che, uniti al paesaggio caratterizzato da rocce a strapiombo, dalle quali si domina un vastissimo e magnifico panorama, con grotte e selvaggia vegetazione, fanno comprendere come si sia potuta localizzare qui l’apparizione del cervo-Cristo a Sant’Eustachio.
Composto di due tavole lignee unite da un incastro ad anima, il pannello è circondato sui due lati da una cornice a decoro geometrico e sul lato superiore da una cornice a girali di ispirazione vegetale con testine umane e palmette.
Nella tavola superiore sono rappresentate due scene: sulla destra, l’apparizione di Cristo tra le corna di un cervo (di chiara derivazione da fonti bizantine) e sulla parte restante, entro una doppia arcata, la celebrazione della messa da parte di San Silvestro papa, che indossa un ampio piviale sul quale poggia la lunga stola, mentre in capo tiene una mitra ad angolo basso, con lunghe infule. Notevole la cura dell’artista nel rendere evidente la ricchezza del tessuto prezioso adorno di cerchi larghi. Sotto la pianeta è visibile una lunga tunica o camice, anche questo di stoffa riccamente lavorata. Tracce di ornato, forse con fili di perle, sono riconoscibili anche sulla mitra. Un diacono solleva un lembo del pesante tessuto perché il papa possa muoversi più liberamente. Dall’altro lato dell’altare sostano due accoliti: il maggiore tiene turibolo ed acerra, l’altro l'Evangeliario e la ferula. Nelle diverse stature delle figure non si deve vedere una ricerca di prospettiva, ma una differenziazione dei ranghi. Due dati interessanti per la storia della liturgia: l’altare cubico poggia su di una base con un ornato ad intrecci di netta derivazione longobarda, mentre i lati del quadrato presentano una cornice con cinque borchie per lato. Sulla mensa è poggiata, quale unico ornato, una croce: l’artista insiste sul rito della consacrazione e di proposito sono stati omessi il calice con la patena. L’oggetto, da adattarsi ad un altare antico, cubico, è della massima rarità essendo l’unico esempio di tale tipo di frontale in Italia.
Tra le arcate sono invece raffigurati i busti di Cristo, al centro, e di due santi, ai lati, forse Pietro e Paolo. La tavola inferiore è liscia, tranne che per una serie di alveoli vuoti a forma circolare o di losanga, destinati ad accogliere decori a pasta vitrea o pietre dure, oggi dispersi. Il padre gesuita Athanasius Kircher (1602-1680) nel suo fondamentale testo “Historia Eustachio-Mariana”, del 1665, vi vede invece la rappresentazione dei principali lineamenti dell’antico pavimento della chiesa. Infatti nella tavola del foglio 121 riproduce un chiarissimo disegno a corredo della descrizione della tavola lignea. E nel disegno riporta la parola “pavimentum” lasciando intendere che il pavimento era proprio raffigurato nella parte inferiore della tabula. Perciò, secondo il grande erudito gesuita, in questa tavola sarebbe descritta, seppure forse in modo sommaria, la forma o i lineamenti della decorazione principale del pavimento originale della prima chiesa consacrata nel XII secolo: «figura hac quadrangula, nil aliud, quàm pavimentum Ecclesiae exprimere voluisse videatur» (pagina 131).
Il bassorilievo ligneo è opera autografa di un “Magister Guilielmus” (intagliatore assai fine e dotato di una certa personalità) come attesta l’iscrizione incisa con il suo nome tra la coppia di colonne di destra e le zampe anteriori del cervo: MAGISTE/R GVILIEL/MVS FECIT / OC OPVS. Si legge invece S. SIL/VEST/ER al di sopra della figura centrale. Una croce, come detto, sormonta l’altare, sul fianco del quale c’è l’iscrizione: MEN OC D / XXIIII D/EDICATI/O BEATE MAR/IE + WULT (Mense Octobre XXIV dedicatio Beatae Mariae Vultuillae).
L’opera è stata datata (Cascioli, Rossi, Toesca) al XII secolo e attribuita all’ambiente artistico abruzzese sulla base dell’analisi dei caratteri stilistici e delle particolarità tecniche, che trovano confronti in numerosi esemplari della scultura abruzzese del XII secolo, ma, in occasione del restauro del 1967, la Tosca ha poi studiato con cura il rilievo e notando l’uso del cinabro nei fregi ha ristretto la datazione dell’opera verso la fine dello stesso secolo. Questo bassorilievo è certamente un antependio o paliotto, che può aver decorato l’altare di forma cubica, sia per i caratteri iconografici sia per le dimensioni del rilievo, troppo ampio per essere un pannello dell’antica porta d’ingresso. L’opera è stata restaurata nel 1967, direttore dei lavori: Ilaria Toesca, restauratore: Aldo Angelini. L’opera era in pessimo stato di conservazione. Il legno, attaccato posteriormente dall’umidità e dai tarli in modo gravissimo, era praticamente fatiscente. Fu disinfestato con DDT (insetticida che poi venne vietato in Italia a partire dal 1978) e consolidato con un misto di alcool e gomma lacca con una piccola aggiunta di resina polivinilica plasticante.
(luglio 2024)Scarica gratuitamente le nostre audioguide o le guide tascabili.
Patrocinio Comune di Tivoli
Assessorato al Turismo