Il papa attraversò anche la stretta e malagevole passerella, costruita sopra la nuova Chiusa, e poté costatare quanto fosse un umiliante compromesso per attraversare l’Aniene, contrapposto all’opera maestosa che si stava costruendo. Anzi gli storici locali chiamano questo provvisorio ponte-passerella in legno col termine “pedagna”, dal latino tardo pedānea, “che riguarda il piede”, dal classico pes, pedis, “piede”, cioè una semplice pedana, passato poi ad indicare nel linguaggio marinaresco la traversa di legno sulla quale i rematori poggiano i piedi vogando, perciò un manufatto estremamente provvisorio. Il papa lasciò la nostra città il 3 maggio dopo essersi recato anche a Subiaco al Sacro Speco, deviando perfino fino ad Arsoli per ricevere l’omaggio nel castello dei principi Massimo. Naturalmente la visita del pontefice ebbe un notevole effetto presso i lavoranti, animati dalla voce del pontefice e dai doni che avevano ricevuto, e aumentarono l’energia per lo scavo del traforo. Anche i tiburtini incoraggiati dalla bontà del pontefice e per l’amore che aveva dimostrato verso la nostra città si fecero più coraggiosi a chiedere la costruzione di un grande ponte che riunisse Tivoli alla via Valeria ed assicurasse un comodo trasporto dagli Abruzzi verso Roma, che era affidato ad un malagevole ponte di legno, niente affatto stabile e certamente indegno per una città così importante ed industriosa come Tivoli.
La richiesta non era però tanto semplice da esaudirsi, in quanto un ponte in muratura non era stato previsto nella spesa dell’opera dei cunicoli gregoriani, anzi tra i vantaggi enumerati dalla costruzione dei cunicoli gregoriani, si elencava anche quello del “risparmiare la necessaria e reclamata costruzione del gran ponte sopra l’attuale chiusa, sempre pericoloso e calcolato sopra scudi trentamila” (Chirografo dal palazzo apostolico in Vaticano del 9 giugno 1832). In sostanza passando i cunicoli sotto la Via Valeria, non si toccava il problema di traversare il baratro da Piazza Palatina fino a porta S. Angelo. Il dibattito fu acceso, perché naturalmente occorreva lasciare l’acqua del fiume Aniene nel vecchio tracciato per alimentare i canali che passavano sotto la città e, pur come sfioratoio, lasciare una perenne testimonianza della provvidenza dei romani pontefici alla città di Tivoli, ma l’amministrazione già pensava alla sistemazione di una nuova strada che da Tivoli avrebbe condotto alla Via Valeria. Però la spesa non poteva essere a carico dell’Amministrazione del Traforo, ma a carico del Comune di Tivoli, perché rientrante nella categoria delle strade interne provinciali, il cui peso di costruzione e manutenzione gravava sulle rispettive città, che la racchiudevano tra le loro mura ed infatti poco oltre il ponte progettato vi era la Porta S. Angelo, verso la strada per gli Abruzzi.
settembre 2013