È uno dei tanti tesori di Villa Adriana sparsi per il mondo. L'esempio più importante della copistica e della riebolazione romane di originali greci è senz'altro la Niobide Chiaramonti, probabilmente derivata dal gruppo di Skopas o di Prassitele. Il nome così particolare di questa statua, copia romana quindi di un originale greco della seconda metà del II sec. a. C., deriva essenzialmente dal fatto che in principio essa si trovava collocata nel museo Chiaramonti che fa parte dei Musei Vaticani e prende il nome dal pontefice Pio VII (al secolo Barnaba Chiaramonti), che lo fondò agli inizi del XIX sec. Detto museo, allestito e ordinato da Antonio Canova, è composto da tre gallerie: la galleria Chiaromonti, dove sono esposte numerose sculture, sarcofagi e fregi; la nuova ala, detta Braccio Nuovo, costruita da Raffaele Stern, che ospita celebri statue; la galleria lapidaria, che contiene più di 3.000 pezzi di iscrizioni, epigrafi e monumenti, che rappresentano la più grande collezione del mondo di questo tipo di manufatti (viene aperta ai visitatori solo su richiesta, generalmente per motivi di studio).
Oggi invece la statua è custodita nei Musei Vaticani presso il Museo Gregoriano Profano fondato nel 1844 da Gregorio XVI. Detta fondazione fu determinata dai continui rinvenimenti di antichità classiche collocate, fino al 1963, nel Palazzo Lateranense. Per volontà di Giovanni XXIII, la collezione fu trasferita nell'attuale sede dove sono riuniti reperti di età greca e romana provenienti in gran parte da scavi e ritrovamenti fatti nell’antico Stato Pontificio.
La Niobide Chiaramonti, probabilmente deriva dal gruppo delle Niobidi morenti riconducibili a Skopas o Prassitele. La statua è realizzata in marmo giallastro a grana grossa ed è alta circa 1,76 metri. È priva della testa, del collo, parte del braccio destro, la mano sinistra, alcuni lembi del mantello. L'identificazione con una delle figlie di Niobe è testimoniata dalla sostanziale coincidenza dei tratti di questa opera con quelli di una statua custodita agli Uffizi di Firenze, la cui interpretazione è a sua volta garantita da circostanze precise di scavo. La Niobide è raffigurata con le braccia sollevate con grazia nel gesto di chi, fuggendo, vuole allontanare da sé un’incombente sciagura. Molto probabile è una tradizione tramandata da un classico gruppo greco, anche se in questo caso l’autore è sicuramente un neoattico.
Niobe (in greco Nióbē; in latino Niŏbe) era un'eroina della mitologia greca. Figlia di Tantalo, come il padre peccò di superbia, proclamandosi superiore alla dea Latona, in quanto aveva avuto 12 figli (o 14, secondo un'altra tradizione) mentre la dea aveva avuto soltanto Apollo e Artemide. Quest'ultimi vendicarono l'offesa fatta alla madre Latona uccidendo a frecciate tutti i figli di Niobe. Per nove giorni i cadaveri giacquero insepolti e immersi nel loro sangue perché Zeus aveva cambiato i popoli in pietre; nel decimo vennero sotterrati dagli dei. Niobe, impietrita dal dolore, si trasformò in una roccia e venne portata sulla vetta del monte Sipylo, dove sentiva ancora anche se mutata in pietra il dolore per i figli uccisi.
Una versione più antica faceva di Niobe, figlia del primo uomo, una specie di madre dell'umanità: la morte dei suoi figli rappresenterebbe la sorte mortale dell'uomo e la sua condizione subordinata agli dei. Il tema della strage dei figli di Niobe (Niobidi) e del dolore della madre è uno dei più elaborati della classicità. Perduto il dipinto di Polignoto e noto solo in fredde redazioni il fregio fidiaco del trono dello Zeus di Olimpia, ci restano numerose rappresentazioni scultoree quali: la cosiddetta Niobide del Museo delle Terme di Roma; le due statue della Ny Carlsberg Glyptotek, originali del primo classicismo provenienti dagli Orti Sallustiani; le statue ellenistiche degli Uffizi a Firenze; rilievi di stile fidiaco dell'Ermitage; sarcofagi romani, vascolari (come il cratere di Orvieto del Pittore dei Niobidi a Parigi, Louvre) e pittoriche (quale l'affresco di Pompei, colombario di Villa Pamphili). Un gruppo statuario dei Niobidi, secondo Plinio, opera di Prassitele o di Skopas, era nel tempio di Apollo Sosiano eretto a Roma nel Campo Marzio nel 32 a. C. con raffigurazioni del mito di Niobe e dei suoi figli, i Niobidi, sterminati a colpi di saetta dalla cieca furia di Apollo e Artemide.
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