"Tivoli, les jardins de la villa d'Este” di Jean-Baptiste-Camille Corot

a cura di Roberto Borgia

La Mostra "Corot: natura, emozione, ricordo", che si è svolta nel Palazzo dei Diamanti a Ferrara dal 9 ottobre 2005 all'8 gennaio 2006, ha messo in rilievo ancora una volta presso il pubblico italiano l'opera di Jean-Baptiste-Camille Corot (1796-1875). Purtroppo non erano presenti le tre opere da noi conosciute dedicate dall'artista francese alla nostra città, mentre ricordiamo che nella Mostra tenuta nel 2001 dapprima al Gran Palais di Parigi e poi a Mantova, dal titolo "Un paese incantato. Italia dipinta da Thomas Jones a Corot" era presente il dipinto ora riprodotto.  Messo in rilievo perché, in un certo senso, il pittore parigino rimane il profeta mancato dell'Ottocento, non solo francese. Benché nessuno metta più in dubbio il valore formativo della sua arte verso i futuri impressionisti, il suo mondo poetico venne scoperto (a parte qualche appassionato, collega o amico) relativamente tardi, quando i risultati prodotti dai suoi sforzi solitari già da tanti anni stavano comunque affermandosi per conto loro. Nel momento in cui il pittore, ormai piuttosto anziano, poteva affermare "ça y est", cioè "ecco, ce l'ho fatta" il pubblico stava ormai per accettare le novità ben più radicali della nuova pittura. Corot nacque il 16 luglio 1796 a Parigi, da Louis-Jacques, mercante di stoffe, e da Marie-Françoise Oberson, modista. Studiò in un collegio a Rouen dal 1807 al 1812, poi, fino al 1814, a Passy, con scarso successo. Dal 1817, per accontentare i genitori, lavorò presso mercanti di tessuti. Ottenuto dal padre un assegno annuale, dal 1822 si dedicò agli studi di pittura con Achille-Etna Michallon (1796-1822) e, dopo la morte prematura di questi, con Jean-Victor Bertin (1867-1842), cultore del paesaggio "classico", derivato da Poussin. Corot in seguito era solito dire che aveva "perso la sua vita" fino al momento in cui, seguendo la vera vocazione, aveva potuto votarsi interamente alla pittura. Erano infatti gli anni in cui la discussione sul paesaggio cominciava ad accendersi nel contesto della pittura romantica.

Tivoli, les jardins de la villa d’Este
Ingrandisce foto Tivoli, les jardins de la villa d'Este

La data chiave di questo nuovo clima artistico è il 1824, quando il pittore inglese John Constable (1776-1837), già notato in Inghilterra da Théodore Géricault (1791-1824), espone al Salon parigino "Il carro di fieno" (già esposto nel 1821 alla Royal Academy, ma rimasto invenduto) e la "Veduta sullo Stour presso Dedham" meritandosi una medaglia d'oro. I più progressisti tra i pittori francesi, tra cui Delacroix (1798-1863)(la leggenda vuole che il grande artista romantico avesse addirittura ritoccato il paesaggio del suo"Massacro di Scio" durante la "vernice" dopo aver visto i quadri di Constable) si schierarono immediatamente fra i sostenitori della nuova pittura di paesaggio studiata dal vero. Fra questi c'è naturalmente anche Corot che già nell'anno successivo, 1825, lascia Parigi per il suo primo, mitico, viaggio in Italia, durato fino all'autunno del 1828. Viaggio che è senza dubbio una svolta importante, per quella sua sintesi essenzialmente cromatica, dove i particolari non contano più, contano le forme calibrate nello spazio e la straordinaria sapienza "nel comporre un dipinto di paesaggio come se si fosse trattato di disporre le tessere colorate di un mosaico", come scrisse il critico Théophile Silvestre nell'anno 1853.

Da tale data - ed in questo senso, dopo Constable, è un precursore assoluto - inizia a dipingere piccole tavole di fronte alla natura. Alcune di queste vengono poi rifinite o lungamente ritoccate in studio, senza però perdere la vivacità delle notazioni colte sul vero, "sur le motif" come si diceva all'epoca. Appartiene invece al terzo ed ultimo viaggio di Corot in Italia, nel 1843, questa "Tivoli, les jardins de la villa d'Este", olio su tela, cm 43 x 60, Museo del Louvre di Parigi, dono della famiglia Ernest Rouart nel 1943. Si tratta, insieme alle altre opere eseguite su Tivoli, Genzano e Nemi, di "souvenirs", quasi per sperimentare sul vero la propria capacità di evocazione. E' indubbio però che questo viaggio segna una tappa nel suo stile: la sua visione diventa infatti più ponderata e nostalgica. Un'atmosfera avvolgente unifica la composizione, costruita in maniera audace sul vuoto del primo piano. L'acqua di Villa d'Este non esiste, è prioritario il paesaggio e la fortuna di tale visione "particolare", dalla terrazza del vialone, costituirà il fortunato inizio di altre visioni di artisti e fotografi, con alterni risultati, ma sempre ispirati a quest'opera del più grande paesaggista francese. Segnalo come curiosità un francobollo emesso dalle Isole Maldives nel 1995 con la riproduzione del dipinto.

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