Ma abbandoniamo queste lunghe note biografiche per tornare all'opera. Il paesaggio bucolico, arricchito di fiori, è una trasfigurazione dell'artista, non certamente una reminiscenza realistica.
All'epoca, cioè anteriormente alla prima guerra mondiale, la Villa d'Este non doveva certamente godere di uno stato così pittoresco. Infatti la Villa, in mancanza di una discendenza maschile della famiglia proprietaria, era passata a Maria Beatrice Ricciarda d'Este (Modena, 1750-Vienna, 1829), figlia di Ercole III d'Este, che, avendo sposato nel 1771 Ferdinando Carlo Antonio Giuseppe Giovanni Stanislao d'Asburgo-Lorena (1754-1806), trasferì automaticamente la proprietà alla Casa d'Austria, che si disinteressò completamente della manutenzione della villa stessa. Infine nel 1918 la Villa passò allo stato italiano, che iniziò una serie di importanti restauri.
Alcune parole sulla statua: in marmo bianco, lunga m. 2,45 rappresentante una Venere coricata a terra, colta verso sinistra, con la mano destra sulla mammella sinistra e con il piede destro posato sul sinistro. Un leggero panneggio fa da velo alla parte mediana del corpo della bella dea, in atto di dormire. La testa della statua è però di riporto, le braccia sono mal condotte ed il panneggio è falso. Attribuibile all'arte romana del II-III secolo dopo Cristo, mentre la testa è probabilmente di esecuzione anteriore. Si ignora la provenienza. Ricordata sotto il n. 73 nell'inventario redatto dal notaio Fausto Pirolo, nel 1572, subito dopo la morte del cardinale Ippolito II d'Este, come:«Una statua di una Venere ignuda a giacere alla fontana del cortile di marmo bianco». Questa è una delle poche statue che si sono salvate dalla dispersione operata nel patrimonio della Villa nel corso dei secoli, in quanto gli stessi Duchi d'Este la ritennero necessaria per la villa e perciò non vendibile. Così come si salvarono le enormi statue poste a semicerchio sopra la fontana dell'Ovato, in quanto il loro spostamento poteva essere fatale alle statue stesse. Proprio le dimensioni ed il fatto di essere moderne hanno permesso che le tre statue (comprendendo la Sibilla), restassero in loco.
Nella "Stima delle statue della Villa d'Este in Tivoli eseguita dal perito antiquario Gaetano Cartieri (1752-53)", conservata nell'Archivio di Stato di Modena, Camera Ducale, Fabbriche e villeggiature, 72, infatti si scrive: «La Sibilla Tyburtina colossale, con il figlio acanto; è di peperino o sia pietra tiburtina, et in più pezzi composta, lavoro mediocre et in stato patita perché sta al scoperto. Può computarsi scudi 300. Due Fiumi, laterali a detta Sibilla, che rap(p)resentano L'Aniene e l'Ercolano, colossi di marmo statuario, di bel lavoro nel loro essere; sono composti di più pezzi in qualche parte allentati per l'aqua et aria a cui sono esposti. Scudi 1000. Si a(v)verte che questi tre colossi sono frangibili e si devono concatenare se si volessero trasportare altrove. »
(aprile 2021)