La pietra nera è uno strumento di disegno, composto di materiale naturale, scisto argilloso o carbonifero semiduro, spesso originario del Piemonte o della Gran Bretagna, già conosciuto ai tempi di Cennino di Andrea Cennini (Colle di Val d'Elsa, 1370 - Firenze, 1440), pittore italiano, noto soprattutto per aver scritto in volgare all'inizio del XV secolo un trattato sulla pittura, il Libro dell'arte. C'è la pietra nera più spesso in forma di matita, grezza o inserita nel legno, oppure a forma di gessetto. Se ne ricavavano di solito piccole asticciole da temperare, e la sua duttilità permetteva di ottenere sia dettagli precisi, se la punta veniva affilata, sia, se usata di piatto, effetti atmosferici con morbide gradazioni tonali; quest'ultimo risultato veniva accentuato anche grazie all'uso dei polpastrelli delle dita o di sfumini (piccole palline di pelle, feltro o carta inumidita). È usata per schizzi, ma anche per i migliori disegni.
Fu ampiamente utilizzata durante il Rinascimento, spesso su carta grigia o marrone, e spesso accompagnata da lumeggiature di guazzo bianco, di inchiostro di China secco o color seppia o ancora da sanguigna, denominata quest'ultima matita rossa, un'altra pietra naturale, un pigmento composto da argilla ferruginosa che conferiva al disegno una qualità cromatica rossastra, calda, che permetteva di restituire con morbidezza l'incidenza della luce sui corpi; una luminosità restituita senza la biacca, ma semplicemente "risparmiando" la carta, cioè lasciandola bianca e usandola come base luminosa, giocando con quelli che Vasari definiva i "lumi della carta".
La pietra nera usata con sanguigna e gesso bianco è una tecnica nota come "le tre matite".
Tutti questi elementi sono presenti in questo disegno, la cui tecnica, per dirla in lingua francese, potremo descrivere così: "Pierre noire, estompe, rehauts de blancsd et traces de sanguine brûlée sur papier".
Si tratta di un Paysage prés de Tivoli avec la vue du temple de la Sibylle, formato 54, 3 x 41,8 cm., appartenente alla Fondation Custodia, una fondazione d'arte olandese situata a Parigi nel VII arrondissement, fondata nel 1947 dal collezionista e storico dell'arte Frits Lugt, per ospitare la sua collezione di pitture, disegni e stampe. Solo recentemente José de Los Llanos, conservatore capo del Patrimonio, direttore del Musée Cognacq-Jay à Paris, già direttore del musée des Beaux-arts de Bordeaux, ha attribuito il disegno a Nicolas Lejeune, attivo tra il 1768 e il 1804, omonimo di Louis-François Lejeune (1775-1848), detto il barone Lejeune, allievo di Pierre-Henri de Valenciennes e di Jean-Victor Bertin, conosciuto soprattutto come militare (arrivò al grado di generale), pittore di battaglie, incisore e determinante per l'introduzione della litografia in Francia.
Le date della nascita e della morte del nostro Nicolas Lejeune sono invece ancora sconosciute, ma di lui si ritrova traccia in maniera sporadica negli archivi: allievo di Jean-François Lagrenée a Parigi, sarebbe stato eletto nell'Accademia di Berlino nel 1768-1769; nel 1771-1772 è a Roma, dove realizza in particolare due acquaforti di gusto piranesiano (La Prison e Un meurtre); nel 1772 viene eletto all'Accademia di Marsiglia, senza dubbio prima di ritornare a Parigi, dove abiterà in rue Bétisy. Infine tra il 1793 e il 1804 espone nel Salon, l'esposizione periodica di pittura e di scultura che si svolse al Louvre di Parigi, con cadenza biennale fino al 1863 ed annuale in seguito, dal XVII al XIX secolo.
Proprio nel 1793 Lejeune espone almeno nove pitture e disegni, tra cui una Vue du temple de la Sibylle à Tivoli. Dessin-esquisse, che si potrebbe identificare con questo. Il disegno raffigura una situazione anteriore al 1779, infatti le sostruzioni sotto al tempio non sono ancora murate.
Una cosa da sottolineare è che questo disegno rassomiglia curiosamente al dipinto ad olio di François-André Vincent, realizzato tra il 1771 ed il 1775: le pietre scavate intorno la porta del tempio, la finestra dell'arcata sinistra e l'albero al centro sono identici. Così come la direzione della banderuola sul campanile della Chiesa di S. Giorgio. Lejeune aveva incontrato Vincent e forse l'aveva copiato? In ogni modo il disegno presenta una drammaticità inusuale nelle rappresentazioni di Tivoli, data dall'effetto del fumo che si innalza al livello delle sostruzioni, un effetto, potremmo dire, piranesiano.
Da notare che sul montaggio (risalente al XVIII secolo) del disegno è presente la scritta: "Vue du temple de la Sibyle [sic] de Tivoli dite Albunée./ Dessin d'aprés nature par le Jeune et dédié à son ami Le Roy". Naturalmente è impossibile identificare a chi fosse dedicata l'opera, visto che durante la Rivoluzione numerosi artisti con questo nome hanno esposto loro opere nel Salon con Lejeune.
(giugno 2016)
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