"Les Lavandières” di Jean Honoré Fragonard

a cura di Roberto Borgia

Come in campagna, altrettanto in città la lavatura dei panni e della biancheria sporca è stata da sempre attività tipicamente femminile. Al mattino presto si accendeva il fuoco sotto un grosso pentolone, nel quale si buttava la cenere del focolare quando l'acqua bolliva. Si otteneva, rimescolando con un bastone, un liquido grigiastro denominato "lisciva". Questa era successivamente riversata sulla biancheria disposta a strati in un grande mastello di legno posto su un cavalletto di legno a forma di croce. Il classico mastello, di forma troncoconica, recava sulla base un foro chiuso da un grosso tappo di legno. Un riquadro di tela grossolana, sopra la biancheria, fungeva da filtro impedendo alla cenere di venire a contatto con il bucato. Dopo alcune ore si toglieva il tappo al mastello e tutta la "lisciva" fuoriuscita si rimetteva nel pentolone in precedenza ripulito, con l'aggiunta di altra acqua. Si ritornava a far ribollire il tutto e quindi con l'aiuto di un secchio si riversava la lisciva bollente sulla biancheria. In genere questo rilavaggio si ripeteva almeno tre volte. Alla fine di tutto si lasciava in ammollo per l'intera notte. Era in uso coprire il mastello con assi e porre sopra altri panni per impedire il rapido raffreddamento del composto. Il mattino seguente si toglieva nuovamente la lisciva dal mastello grande, la si metteva in un altro più piccolo aggiungendovi acqua calda. Sulle doghe si poneva un'asse da lavare e mediante spazzole di saggina la massaia strofinava e sbatteva energicamente i panni precedentemente insaponati.


Ingrandisce foto Les Lavandières

Anche dopo quest'ultimo lavaggio la lisciva veniva ancora utilizzata per bagnare e lavare gli indumenti delicati e colorati. Le donne, a due a due, con un paletto posto di traverso sulle spalle, trasportavano la biancheria al lavatoio pubblico o lungo il fiume per procedere ad un lungo risciacquo. Immergevano i panni nell'acqua corrente, li sbattevano energicamente sulla pietra e li strizzavano.

La biancheria, riportata a casa, veniva posta a gocciolare sopra un alto cavalletto ed infine distesa sui fili da asciugare. Nella bella stagione si distendevano sull'erba bagnata di rugiada e li si esponeva all'azione sbiancante del sole. Questa breve introduzione ha lo scopo di presentare un eccezionale disegno di Jean Honoré Fragonard (Grasse 1732- Paris 1806), premettendo che se il più grande Museo francese, quello del Louvre non conserva disegni di questo artista ante¬riori agli anni del soggiorno romano (1756-1761),tale soggiorno si rivela, invece, ben rappresentato con due belle esercitazioni scolastiche a sanguigna, che rap¬presentano delle figure drappeggiate, un Monaco coricato e un Vescovo seduto, molto simili ai quattro disegni dello stesso tipo conservati al museo Atger di Montpellier e che si potrebbero datare al 1759: il tracciato deciso, la costruzione semplice, quasi geo¬metrizzata, fanno pensare alle parole di Abel-François Poisson, marchese di Marigny (1725-1781), fratello della Pompadour, che come direttore generale dei Bâtiments reali dal 1751 al 1773, l'11 ottobre di quello stesso anno, scrive a Charles-Joseph Natoire (1700-1777), allora direttore dell'Accademia di Francia a Roma, che i disegni inviati da Fragonard a Parigi, "puri, dotti e corretti", sono forse eseguiti "con un arrotondamento e un effetto un po' eccessivi" e sarebbero quindi "infinita¬mente degni di lode se fossero di qualcuno che volesse dedicarsi alla scultura".

È Natoire che aveva avuto l'idea di far disegnare i suoi giovani pensionnaires facendo ricorso a modelli drappeggiati in differenti maniere, con indosso "soprattutto abiti da chiesa che provocano torti e belle pieghe", come scriveva a Marigny un anno prima. Un terzo disegno dello stesso tipo, recentemente identificato nel fondo Bouchardon, testimonia di una libertà e di una scioltezza maggiori, e potrebbe dunque essere un po' più tardo. E' invece certamente del 1760 uno dei più brillanti e importanti disegni di Fragonard, il paesaggio a san¬guigna intitolato "Les Lavandières", 348 x 480 mm, con tracce di piegatura al centro nel senso dell'altezza, iscrizione a sanguigna più scura, in basso a destra: frago. Il formato, la tecnica, l'aspetto spigoloso del tratto crepitante e variato, capace di tradurre la forte luce italiana, si ritrovano anche nelle dieci splendide sanguigne del museo di Besancon che rappresentano la Villa d'Este ed altri scorci di Tivoli. Proprio a Villa d'Este l'abate di Saint-Non, affascinato dal talento di Fragonard, condusse l'artista a lavorare durante l'estate del 1760, dopo aver preso in affitto il palazzo di Francesco d'Este, duca di Modena e i suoi celebri giardini. Momento capitale nella carriera dell'artista, Fragonard sembra progredire nell'elaborazione del suo stile pittorico proprio grazie al disegno, che gli consente di lavorare sul motivo e di elaborare al tempo stesso una composizione ben strutturata da piani d'ombra e di luce.

Il lavatoio pubblico a Tivoli si trovava a ridosso delle mole azionate ad acqua che si raggiungevano attraverso la Via delle Mole. L'uso della lunga vasca in alcuni periodi era permesso in giorni stabiliti della settimana. L'acqua, che vi giungeva copiosa dal canale detto Spada, consentiva a molte donne di lavare contemporaneamente i panni. Il lavatoio si poteva raggiungere anche attraverso una scala dalla soprastante area, ove sorge ora Piazza Rivarola. L'accesso in questione è ben visibile nel disegno di Fragonard, non esiste naturalmente più tale accesso per le modifiche intervenute dopo il disastro del 1826, ma, fondamentalmente, il paesaggio è rimasto il medesimo. Oltre a questo scorcio, invito a cimentarvi in una foto del Tempio di Vesta che si specchia nelle acque del lavatoio!

Nei dintorni

Approfondimenti

    Le guide di Tibursuperbum

    Con il patrocinio del Comune di Tivoli, Assessorato al Turismo

    Patrocinio Comune di Tivoli

    Assessorato al Turismo