Parlando della stanza delle Sibille di casa Romei a Ferrara è doveroso ricordare che la prima stanza delle Sibille di cui abbiamo notizia si trovava non nella già illustrata Casa Romei, ma nel Palazzo di Monte Giordano, attuale Palazzo Taverna, a Roma; fu eseguita prima del 1434 per il cardinale Giordano Orsini (morto nel 1438) e costituisce un punto nodale nella storia dell'iconografia del tema. Il ciclo è andato perduto, ma è stato descritto più volte. Sappiamo così che nella "Camera Paramenti" erano dipinte dodici Sibille (forse accompagnate da figure di Profeti).
Le prime dieci, introdotte da una breve presentazione, erano quelle che costituivano il canone classico delle Sibille; corrispondono cioè alle profetesse che Lattanzio, sulla scorta di Varrone, elenca in ordine cronologico: Persica, Libica, Delfica, Cimmeria, Eritrea, Samia, Cumana, Ellespontica, Frigia, Tiburtina. A queste si aggiungevano due nuove Sibille: Europa ed Agrippa (per le quali mancava ogni tipo di presentazione). Tutte e dodi ci verranno a formare un fortunato canone, con il nuovo modo di raffigurarle, su dei troni, in un dato ordine, ciascuna col proprio nome e oracolo, con un'età determinata, alcune con dei tratti del vestiario e un atteggiamento particolare, talune con degli attributi.
Al nuovo modo di rappresentare le Sibille si conformerà un gran numero di opere, fedeli per lo più al modello del palazzo romano nel riprendere il numero e i nomi delle Sibille, i loro oracoli, e nel distribuire questi ultimi tra le profetesse. Il ciclo eseguito per il cardinale Orsini contribuì, in ogni caso, a dare la sua forma canonica alla nuova iconografia delle Sibille, divenendo esemplare.
Stemma di Ippolito d'Este - Foto concessa
dalla SBAP-RA (MiBAC)
Da notare un primo riferimento al cardinale di Ferrara Ippolito II d'Este, il costruttore della villa di Tivoli, che ebbe una delle proprie residenze proprio a Monte Giordano, dove morì, dopo breve malattia, il 2 dicembre 1572. Anche per casa Romei doveroso è l'accenno al cardinale di Ferrara Ippolito II d'Este, in quanto la casa sarà poi utilizzata dal cardinale per il suo soggiorno a Ferrara, dopo averla ristrutturata profondamente dopo la metà del XVI secolo, aggiungendo le decorazioni a grottesca.
Lo stemma di Ippolito, l'aquila bianca con i pomi delle Esperidi, è ben conservato e ripetuto nel salone d'onore di casa Romei, e genera profonda emozione, proprio perché raffigurato in un ambiente domestico e certamente non augusto come la villa tiburtina. (Dobbiamo utilizzare in questo caso il termine "impresa", preso dalla terminologia araldica e che indica una figura accompagnata da parole). A Ferrara vi diranno che le mele, effiggiate sullo
stemma e tra le zampe dell'aquila, si riferiscono alle imprese, in questo caso galanti, del cardinale Ippolito II: Gea, la dea madre Terra, regala ad Era per il suo matrimonio con Zeus un melo con frutti d'oro che la dea gradisce al punto da piantarlo nel suo divino giardino.
L'albero viene affidato alle Esperidi. Chiamate Espera, Egle ed Eriteide, esse vivono in un luogo remoto verso Occidente, nel giardino che la madre Terra appunto aveva donato ad Era, individuato di solito nelle Isole di Capo Verde. Le mele poi furono custodite dal dragone senza ciglia Ladone, in quanto Era un giorno si accorse che le Esperidi, cui essa aveva affidato il sacro albero, stavano cogliendo le mele e sembra che allora Era ordinasse al sempre vigile drago Ladone di arrotolarsi intorno al tronco dell'albero e di fare attenta guardia. E qui entra in gioco Ercole che già aveva compiuto dieci Fatiche nello spazio di otto anni ed un mese, ma Euristeo, che non riteneva valida la seconda e quinta Fatica, gliene impose altre due.
Appunto l'undicesima Fatica fu di cogliere i frutti aurei di questo melo, impresa che riesce all'eroe greco con la collaborazione di Atlante. Nereo infatti aveva consigliato ad Ercole di non cogliere le mele con le proprie mani, ma di servirsi di Atlante, alleggerendolo
nel frattempo del peso enorme del mondo che gravava sulle spalle di costui. Ercole chiese allora ad Atlante di fargli questo favore. Atlante avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere un po' di tregua dal peso sulle spalle, ma aveva paura del drago Ladone.
Allora Ercole uccise il drago scoccando una freccia dal di sopra del muro del giardino di Era. Poi Ercole chinò le spalle per accogliere il peso del globo, Atlante si allontanò e ritornò poco dopo con le tre mele d'oro. Ma Atlante non intendeva riprendere sulle spalle il peso dell'orbe, ed allora Ercole giocò d'astuzia: finse di acconsentire e continuare a sopportare il peso, ma pregò Atlante di sostenere il globo stesso per un poco, affinché egli potesse fasciarsi il capo e stare più comodo nel suo sforzo. Atlante, tratto in inganno, posò a terra le mele d'oro e riprese il suo carico; subito Ercole raccolse i frutti e si allontanò con un ironico saluto.
La tradizione classica ci dice anche che in questa località magica e segreta si trovava naturalmente il letto nuziale della coppia regale Zeus-Era, connotato dalla protezione aurea della dea dell'amore Afrodite ivi testimoniata da queste mele d'oro, come ricordiamo nel giudizio di Paride.
A questo punto può diventare più chiaro il contesto dello stemma del cardinale, le cui ben note avventure galanti potrebbero benissimo riverberarsi - secondo le guide turistiche ferraresi - nella riuscita penetrazione di Ercole nel talamo sacro per antonomasia. Le mele risultano mal sorvegliate (non custodita), nonostante il dragone non dorma mai, malsorvegliate come una figlia o una moglie da parte di un padre o un marito geloso. (Diapositiva n. SBAP-RA-AFSd 39818, su concessione esclusivamente per questa scheda di Tibur Superbum e per il Notiziario Tiburtino da parte della SBAP-RA (MiBAC) con divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo).
(gennaio 2013)