Nel 1849, sposò Delia Miller, che morì pochi mesi dopo. L'anno successivo sposò Elisabetta Abigail Hart, con il quale ha sei figli.
Nel 1851 l'imprenditore Ogden Haggerty (1810-1875) incontrò il giovane Inness che dipingeva sul suo cavalletto in una piazza di New York e pagò cento dollari per avere il suo quadro recapitato nella sua
casa di Warren Stret. Aiutò poi Inness per avere il passaporto e finanziò il suo primo viaggio in Europa, in modo che potesse studiare e naturalmente dipingere.
Inness perciò trascorse quindici mesi a Roma, dove studiò particolarmente i paesaggi di Claude Gellée detto Lorrain (1600-1682) e di Nicolas Poussin (1594-1665) (che tra l'altro hanno dedicato moltissime opere alla nostra città). Affittò anche uno studio proprio sopra quello del pittore William Page (1811-1885), che probabilmente introdusse l'artista statunitense al movimento Swedenborgianism dal nome dello scienziato e teologo dallo svedese Emanuel Swedenborg (1688-1772), che affermava di aver avuto una nuova rivelazione da Gesù Cristo, attraverso continue visioni. Il teologo svedese annunciò la sua "Chiesa Nuova", mentre il suo movimento, ancora attivo, fu fondato dopo la sua morte. Inness soggiornò in Italia anche nell'anno seguente e compì un successivo viaggio nel 1870-1874, dopo poté sviluppare il suo stile tonalista per il paesaggio, che lo rese famoso. L'Italia rimase nell'immaginario di Inness anche dopo il suo ritorno negli Stati Uniti, dopo il primo viaggio, nel 1852. Continuò infatti a
dipingere vedute italiane durante il ventennio che intercorse tra il primo ed il secondo viaggio in Italia, ricordando i paesaggi visti e approfondendo i suoi schizzi, mettendoli sulla tela. Proprio il secondo viaggio fu il più produttivo per lo sviluppo estetico di quella atmosfera per il quale divenne assi ammirato.
Ma parliamo ora dell'opera "Olive Tress at Tivoli" (Ulivi a Tivoli) che pubblichiamo grazie alla cortesia del Metropolitan Museum of Art di New York, in quanto l'opera, di cm. 17,8 x 31,4, estremamente delicata, trattandosi di un guazzo, acquerello e grafite su carta blu intessuta con fibre colorate, non viene messa in mostra. Risulta che Inness abbia fatto meno di cinquanta acquerelli e ancor meno disegni, e quest'opera risale naturalmente al secondo viaggio in Italia, con una datazione al 1873; notare anche la sua firma, in basso a sinistra. Da ammirare il delicato equilibrio della composizione pittorica, la fine incisività, l'ampio respiro della composizione che fa intravedere proprio al centro la cupola della basilica di S. Pietro, sulla sinistra la collina con la città di Tivoli, mentre si distingue chiaramente il sepolcro dei Plauzi, con la licenza artistica del ponte Lucano, sistemato innanzi allo stesso Mausoleo.
La visuale è presa dalla strada per Marcellina, visibile anche l'attuale via degli Orti con la strada per Montecelio che inserisce sulla via Tiburtina. Inness ha voluto anche rappresentare la lapide detta "Il Deposito", poco lontano dal tempio della Tosse. Gli ulivi, contorti e piegati dal vento, contribuiscono a dare un senso di isolamento alla natura, del tutto prima di persone, e che fanno percepire l'isolamento della campagna.
Tipico deserto della Campagna Romana, senza attività umane, che ritroviamo in molte rappresentazioni di altri artisti di quel periodo.
(febbraio 2012)