Il pittore e paesaggista fiammingo Simon-Joseph-Alexandre-Clément Denis (soprannominato "Le Louche") nacque il 14 aprile 1755 ad Anversa nel Belgio e morì il 1 gennaio 1813 a Napoli. Figlio di un ufficiale al servizio dell'Austria di stanza nella cittadella di Anversa, apprende i primi rudimenti dell'arte presso il pittore locale Henri Joseph Antonissen (1737-1794), famoso per i paesaggi e le raffigurazioni di animali, nel cui studio si lega in amicizia col coetaneo Balthasar Ommeganck (1755-1826), che si affermerà anch'egli come reputato paesaggista e pittore di animali, tanto da essere definito "Le Racine des moutons".
Denis dimora poi per dieci anni a Parigi dove si perfeziona sotto l'insegnamento di Jean-Baptiste-Pierre Le Brun (1748-1813), pittore, collezionista e mercante d'arte, che contribuì ad arricchire le collezioni reali del Louvre e a restaurare anche molte tavole. Proprio grazie al suo appoggio finanziario, nel 1786 Denis parte per l'Italia dove si ferma definitivamente, istallandosi dapprima a Roma, dove si sposa. Rimase legato alla comunità fiamminga di Roma e a quella francese ed infatti nel 1789 la pittrice Élisabeth-Louise Vigée-Le Brun, rimase con lui alcuni giorni e venne accompagnata in una gita a Tivoli. Accompagnò anche il suo collega François-Gauillaume Ménageot (1744-1816), famoso per le scene religiose e di argomento storico, che fu anche direttore dell'Accademia di Francia a Roma, dal 1787 al 1792, essendo preferito addirittura a Jacques-Louis David (1748-1825), che poi verrà riconosciuto universalmente come capofila del movimento neo-classico.
Naturalmente nel XVIII secolo l'escursione alle cascate di Tivoli rappresentava la meta obbligata per tutti gli artisti che dipingevano en plein air, soprattutto pittori francesi a Roma. Denis in questa tela dal titolo "Élisabeth-Louise Vigée-Le Brun mentre disegna la cascata di Tivoli in compagnia di sua figlia Julie e di una governante", olio su carta incollata su tela, 28,9 x 22 cm., databile al 1789-90, collezione privata, appartenente alla famiglia dell'artista fino all'asta di Christie's a Parigi "Tableaux Anciens et du XIXè siècle" del 22 giugno 2006, dove è stato aggiudicato per 69.600 euro (comprensivi dei diritti d'asta), e compreso anche uno studio dei tre personaggi in gesso nero, ci ha lasciato una testimonianza del richiamo della nostra città.
Veniva raffigurata la moglie del suo mecenate, celebre pittrice, soprattutto di ritratti, pittrice di corte di Maria Antonietta, in fuga dopo la rivoluzione francese. L'Italia fu per lei una vera e propria ancora di salvezza.
Appena arrivò a Torino l'incisore Carlo Antonio Porporati, che nel 1787 aveva inciso a Parigi un grande ritratto della regina con i suoi figli, la ospitò nella sua casa e le fece visitare la città e le zone limitrofe. Dopo pochi giorni fu a Parma e a Bologna. A Parma rimase poco tempo e visitò la città accompagnata dal conte di Flavigny, ministro di Luigi XVI. A Bologna, invece, si trattenne una settimana, per poter ammirare le opere di quella che considerava come la più feconda di qualsiasi altra scuola italiana. Attraversò gli Appennini iniziando ad ammirare il paesaggio italiano con grande interesse. Oltre che per le tante opere d'arte, l'Italia la affascinò soprattutto per i suoi maestosi e pittoreschi scorci paesistici. Alla fine dell'anno era a Firenze.
Dopo lunghi anni di lavoro indefesso a Parigi, Èlisabeth ritornava ad essere la giovane e vitale artista che seguiva il consiglio del vecchio Vernet e, come lei stessa dice di Raffaello; il suo sguardo di acuta osservatrice si posava avido sui colori e sulle composizioni di ogni capolavoro le capitasse alla vista. L'onore più grande fu la richiesta di un suo autoritratto per la galleria degli autoritratti degli Uffizi. Il committente era il granduca di Toscana, che era fratello di Maria Antonietta. L'Autoritratto fu eseguito a Roma, dove Elisabeth arrivò a dicembre e dove il quadro fu esposto prima di essere spedito al granduca.
Il pubblico romano la accolse calorosamente e molti la chiamarono addirittura Mme Van Dyck, Mme Rubens.
Nella capitale trovò ad attenderla Ménageot, in quel periodo direttore dell'Accademia di Francia. Dopo aver terminato il suo autoritratto per gli Uffizi, la pittrice ne fece un altro, molto diverso, per l'Accademia di San Luca di Roma. In questo mezzo busto, infatti, Elisabeth si ritrae in modo più realistico, fortemente ravvicinato e dai suoi tratti emerge una certa malinconia. Roma era eccezionale, piena di meraviglie, ma le notizie che arrivavano da Parigi cominciavano ad essere preoccupanti.
Nelle sue Memorie di essere stata ospite di Denis nella sua casa a Piazza di Spagna e di aver visitato in sua compagnia la località di Tivoli. Sulla "visita a Tivoli scrive: "A Tivoli andammo per prima cosa a vedere le piccole cascate, delle quali fui tanto entusiasta che quei signori non potevano allontanarmene. Le disegnai subito coi pastelli, desiderando colorare l'arcobaleno che ornava quelle belle cascatelle. La montagna che si erge a sinistra, coperta di ulivi, completa l'incanto del colpo d'occhio" (Viaggio in Italia di una donna artista. I "Souvenirs" di E. V. Le Brun 1789-1792, pag. 81).
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