La tela infatti proviene dalla collezione della Principessa Charles d'Arenberg, Brussels, indicato come "scuola spagnola del XVII sec" ed è andato in asta da Sotheby's a New York il 29 gennaio 2009 ed aggiudicata per 98.500 dollari nell'asta "Important Old Master Paintings, Including European Works of Art". Per inquadrare storicamente la tela è necessaria una premessa: il dipinto è posteriore di una settantina d'anni a quello che Francesco Saverio Seni, nel 1902, indica come il periodo d'oro della villa: "Il vero splendore della villa può stabilirsi nel 1569, cioè diciotto anni dalla fondazione, non ostante che non fossero compiuti ancora tutti i lavori d'ornamento, e gli alberi crescenti facessero desiderare le gratissime ombre di un secolo dopo".
La bellezza e l'importanza della villa avevano avuto perciò una vasta eco quando il cardinale Ippolito II d'Este (Ferrara 1509-Roma 1572), fondatore della villa, era ancora in vita. Il mecenatismo ed i lavori erano continuati con il nipote cardinale Luigi d'Este (1538-1586), figlio di Ercole II e Renata di Francia. Alla morte del cardinale Luigi d'Este fu subito accampato dal decano del Sacro Collegio il diritto di possesso sulla villa tiburtina e sugli altri beni inerenti, in virtù di una clausola nel testamento fatto dal costruttore della villa, il cardinale Ippolito II d'Este. Perciò Villa d'Este e i possedimenti sul colle Quirinale passarono, dal 1587, al decano del Sacro Collegio fino al 3 marzo 1599, quando fu elevato alla porpora cardinalizia Alessandro d'Este (1568-1624), nato da Alfonso d'Este, marchese di Montecchio (1527-1587), figlio illegittimo di Alfonso I d'Este e da Violante Signa. Perciò per dodici anni la villa d'Este ed i possedimenti del colle Quirinale passarono al decano del sacro Collegio.
In questo periodo i due decani, Alessandro Farnese prima, Alfonso Gesualdo poi, trascurarono completamente la villa estense, come efficacemente descrive il Seni. "Codesti due cardinali decani, sia per le molteplici cariche che ricoprivano, sia per gli affari, nei quali erano occupati, o perché assuefatti a godere delizie suburbane, se non più belle di quella di Tivoli, forse a loro più care per affetti e ricordi, poco o nulla si curarono del godimento della villa d'Este, che era stata agone di tante lotte incruente. E quindi alla villa in Tivoli o non andarono mai, o vi fecero breve dimora. In compenso però fu presa, quasi d'assalto, da altri cardinali, i quali, sforniti di delizie suburbane, stimarono grande fortuna, potersi, specie nella lieta stagione, ridurre in quel luogo incantevole, circondandosi di parenti, di ossequiosi amici e di un vero sciame di adepti, i quali, a lor volta, invitarono cortigiani e parassiti a godere una delizia, della quale ancora parlava tutto il mondo, come di un miracolo dell'arte del giardinaggio. E fra tanta gente che ivi convenne mancò sempre l'occhio vigile e interessato di chi sapesse difendere quel portento di arte e di gusto dalle incurie e dalle continue sottrazioni d'improvisati collezionisti, cui pungeva il desiderio di asportare, come gradito ricordo, qualcosa, fosse pure una scheggia di marmo o una pietruzza di mosaico. Mancò l'autorità necessaria a infrenare tale cupidigia e a correggere le licenze del servidorame prelatizio, avido di vendere, o generoso in regalar fiori, piante ed arbusti, ognuno dei quali rappresentava un valore; insomma, lasciata la villa alla scarsa sorveglianza di chi era male retribuito del suo ufficio, non bene determinato a cui ne spettassero la cura e la manutenzione, dovette nell'infausto decennio soffrire e perdere molto della sua eleganza, se lo stato di scadimento, fu appunto una delle ragioni che indussero.il pontefice Gregorio XV, a togliere la villa stessa al decanato, e restituirla per sempre ai duchi di Modena".
Il cardinale Alessandro d'Este, preso possesso della villa, cercò di rimediare ai guasti provocati negli anni precedenti nelle fontane, nei giochi d'acqua, nel giardino, nelle statue ed infine riuscì nel 1621 a far si che il possesso assoluto della villa d'Este fosse assicurato in perpetuo ai componenti laici della casa estense, sostituendo ai decani del sacro Collegio i duchi di Modena pro tempore. Si preoccupò, il cardinale Alessandro, che in futuro, per mancanza di altri cardinali, la villa ritornasse al decanato del sacro Collegio e che la villa stessa dovesse subire altri danni. Purtroppo, alla sua morte, la famiglia estense, occupata in altre faccende, non ebbe il modo di provvedere alla villa di Tivoli. Infatti alla morte del cardinale Alessandro la villa passò a Cesare, duca di Ferrara (1552-1628), che la dovette difendere dai rinnovati assalti del sacro Collegio e respirò solo quando fu concessa la porpora cardinalizia al figlio Borso (1605-1657), ci furono poi Alfonso III, duca di Modena e Reggio (1591-1644, che governò il ducato solo nel 1628-29, perché poi vestì l'abito dei cappuccini col nome di Giambattista da Modena), poi Francesco I, duca di Modena e Reggio (1610-1658), che dimostrò, anche con i fatti, un sincero interesse per il possedimento tiburtino. La tela di Baur (1607-1642) si inserisce perciò in questo clima di rinascita.