Interessante è il contesto in cui viene inserito l'incontro: alle loro spalle, i due protagonisti, sono sovrastati da un tempio rotondo, con chiaro riferimento a quello che viene conosciuto universalmente come il tempio della Sibilla a Tivoli, al cui interno si intravede una statua di Vesta che porta la torcia accesa, a sottolineare forse il voto di castità della stessa fanciulla, che mantenne poi per tutta la vita; si riconoscono ancora diversi ruderi, un anfiteatro sullo sfondo ed un porto. Il paesaggio, colto al tramonto, con il cielo arancione ed il sole che si riflette nel mare (tipico del Lorrain), è quello che si poteva osservare dal lago Averno sul golfo di Baia, con l'isola di Capri sullo sfondo: si tratta ovviamente, data la presenza del tempio e dei ruderi, piuttosto di un paesaggio immaginario, dal carattere di "capriccio". Per quanto riguarda invece la vicenda della Sibilla non vi è qui alcun riferimento allo sviluppo successivo del racconto, e cioè al fatto che, avendo dimenticato di chiedere anche la giovinezza eterna, la fanciulla, anche se vide esaudito il suo desiderio da Apollo (infatti quando Enea la incontra questa ha già vissuto settecento anni), cominciò ad invecchiare pian piano. Ed infatti in Virgilio, nel sesto libro dell'Eneide, la Sibilla Cumana, personaggio centrale, con la doppia funzione di veggente e sacerdotessa di Apollo e, contemporaneamente, di guida di Enea nell'oltretomba, ha perduto l'aspetto giovanile del nostro dipinto. La presentazione della sacerdotessa viene accompagnata inoltre dal fosco ritratto dei luoghi in cui ella vive che formano un tutt'uno a suggerire un'immagine di paura e, allo stesso tempo, di mistero:
At pius Aeneas arces quibus altus Apollo
praesidet,horrendaque procul secreta Sybilla
antrum immane petit magnum cui mentem animumque
Delius inspirat vates, aperitque futura. (vv. 9-12)
Caratteristico è l'aggettivo col quale Virgilio definisce la sacerdotessa,"horrenda", termine usato forse anche per ragioni metriche ma soprattutto per l'aspetto della sacerdotessa durante l'invasamento: in quella occasione il dio la possiede completamente, prendendo il sopravvento sulle sue facoltà superiori dello spirito, sulla ragione, sull'intelligenza ("mentem") e sull'animo inteso come sede delle passione e dei sentimenti ("animum"). D'altro canto nell'immaginario collettivo la figura di queste sacerdotesse che vivevano in grotte poco accessibili ("secreta"), dovevano incutere molto terrore così come temutissimi erano i loro oracoli. Appare evidente, inoltre, in questi versi il legame tra la Sibilla ed Apollo, anche se successivamente, laddove Virgilio presenta la profetessa con il nome di Deifobe, il poeta mantovano associa al culto di Febo quello di una divinità ctonia, Trivia, cui erano consacrati la grotta, il bosco ed il lago, che fanno da sfondo al vaticinio. Le restavano altri tre secoli di vita, prima di ridursi, piccola e rinsecchita, come una cicala ed essere rinchiusa dentro una gabbietta appesa nel tempio di Apollo a Cuma. La Sibilla infine morì, secondo la volontà del dio, quando gli abitanti di Eritre (città dell'Asia Minore, nella Ionia) le mandarono una lettera il cui sigillo era formato con la terra della città in cui si supponeva che fosse nata, donde il nome anche di Sibilla Eritrea identificata appunto dai Romani con la Sibilla Cumana.