Con la caduta dell’impero la coltivazione della vite scomparve nelle campagne ormai incolte perché insicure e si mantenne solo intorno ai castelli feudali. Risalgono al medioevo le prime viticolture in aree famose della nostra penisola come i Castelli Romani, le Cinque Terre, il Chianti. Furono soprattutto alcuni ordini monastici (Benedettini e Cistercensi) durante il Medioevo a produrre vini di gran pregio tanto che le varie abbazie gareggiavano tra loro anche perché gli appezzamenti delle loro vigne aumentavano a dismisura. Più tardi anche i feudatari, avendo a disposizione quantità enormi di vigneti, produssero del buon vino che nel periodo medievale divenne prevalentemente rosso. L’importanza delle vigne e dell’agricoltura costrinse lo stesso Carlo Magno, imperatore del S.R.I. ad emanare il Capitolare (un’ordinanza) “De Villis” regolamentando tra l’altro anche la vinificazione. Fu inoltre lo stesso Carlo Magno ad introdurre l’alternanza di giorni feriali (in cui si digiunava e si faceva astinenza) con quelli di festa in cui si poteva usufruire di un pasto abbondante, variato ed “innaffiato” da buon vino.
Tale pantagruelico pasto era inteso come una preghiera, un sentito rispetto per Dio; non più quindi la dieta povera seguita dai monaci fino al Mille (limitata a pane e legumi, con uova e formaggio, frutta). Non a caso fu proprio allora che la Francia cominciò ad affermarsi in maniera indiscussa come produttrice di vini. Con il ripopolamento delle città il vino dalle campagne fu trasportato nei risorti centri urbani e venduto nelle taverne e nelle osterie.
Tuttavia occorre ricordare che l’avvento della cioccolata dall’America, del caffè dall’Arabia, del tè dalla Cina non che la diffusione della birra nel Seicento minò il primato fino ad allora indiscusso del vino considerato l’unica bevanda conservabile. Fu il Lavoisier nel XVIII sec. a studiare per primo la fermentazione alcolica individuando nel carbonio, idrogeno ed ossigeno i componenti dell’etanolo. Sempre nel Settecento iniziò la moda di produrre vini scuri, intensi e fermentati a lungo. Sul mercato andò così affermandosi il Porto, un vino corposo dal lungo invecchiamento. Un personaggio da ricordare è Don Perrignon, un benedettino che nella Champagne praticava una maniacale ossessione per ottenere un vino fermo non riuscendovi “fortunatamente” perché altrimenti non avremmo il suo straordinario vino che il clima ed il terreno facevano rifermentare pur essendo imbottigliato rendendolo spumeggiante. Fu grazie all’evoluzione tecnologica infatti che si riuscì a meglio conservare il vino ponendolo in bottiglie di vetro più adatte e tappandolo con il sughero. I Castelli intorno a Bordeaux continuarono a produrre vini eccezionali in gran parte esportati in Inghilterra.
Molti furono gli artisti che osannarono il vino, basta citarne uno per tutti: Baudelaire. Fu il Pasteur a studiare invece le malattie del vino. Per la filossera, un parassita che colpisce le radici della vite, molte vigne andarono distrutte verso la fine del XIX sec. e l’economia di molti Paesi europei basata sulla viticoltura ne risentì.
Fu allora adottato un rimedio doloroso ma necessario: fu innestata la vite europea sulla radice di una vite americana che risultava intaccabile dalla filossera. Durante il XX sec. i vigneti furono stravolti dalla peronospora e dallo ioidio non che dalle distruzioni apportate dalle due guerre mondiali poi nel periodo del dopoguerra cominciò la ripresa; oggi l’Italia, pur registrando una diminuzione del consumo pro capite (poco sopra i 50/litri annui), vanta una produzione di vini di qualità. Il mercato in genere preferisce i rossi ma si sta anche orientando verso i bianchi frizzanti. Né è da dimenticare che la California e l’Australia, tanto per citare alcuni Paesi caldi, si sono affacciati sul mercato vinicolo producendo vini di grande qualità grazie alla tecnica di refrigerazione dei vasi vinari.
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