A carnevale si facevano i veglioni, delle serate di ballo organizzate da diverse associazioni (qualche anno più tardi anche le scuole, e così il mio liceo, e anche ragioneria, organizzavano), come quello dei commercianti, che era uno dei più importanti, per l’eleganza e la signorilità degli invitati (ma era uno dei quelli che costavano di più, e non tutti potevano permetterselo).
Nacque così il veglione della C.R.I., mi sembra proprio per ovviare alla impossibilità di spendere tanti soldi (non ce n’erano, in giro, per tanta gente), veglione che si ripeté per diversi anni. Ne ricordo uno, in particolare; si tenne nell’immenso salone della E.C.A. al piano interrato del vecchio complesso del convitto nazionale, laddove nei piani superiori, di lì a pochi anni avrei frequen-tato con soddisfazione dei miei genitori il liceo classico..
Questo salone mi sembra di ricordare, serviva per la mensa degli assistiti dell’ente comunale di assistenza; nell’occasione, sgombrato dei tavoli delle panche e delle sedie, veniva addobbato con festoni e catenelle e bandierine caserecci, fatti artigianalmente con carta colorata e còlla di farina; il tutto opera instancabile dei militi cri, papà decio in testa. Ed ecco, bella veramente! E pronta una vera sala da ballo. Organizzazione perfetta; festoni colorati, palco per l’orchestra, ricerca ed ingaggio suonatori, sistemazione sedie alle pareti, tutto opera dei militi cri.
Per me era festa grande; innamorato già da allora di musica leggera, di canzoni e cantanti (era il tempo dei dualismi: bartali e coppi, claudio villa e giogo consolini, io ero per coppi e giorgio consolini, del quale conoscevo ogni canzone…), non vedevo l’ora che venisse la serata del veglione, non ci dormivo, nell’attesa.
E allora, passavo gran parte della serata appiccicato al palco dell’orchestra, che potevo vedere da due passi e quasi toccare, ciò che per me era un sogno fattosi realtà.
M’appoggiavo sui gomiti, gli occhi in su, mi gustavo gli assolo, virtuosismi arrangiamenti e improvvisazioni dei vari strumenti musicali; e poi il cantante e la cantante.
C’erano - ricordo - anche altri bambini (le mamme intanto sedute sulle sedie tutt’intorno alla sala, tiravano fuori le bombe e le castagnole fatte in casa, che s’erano portate dietro, e il fiasco del vino, ed era tutta una festa… indimenticabile. E con gli altri ragazzini si girava per la sala addobbata, sgusciando tra le gambe dei ballerini, coppie giovani e non, che giravano in valzer tanghi beguines, e ogni tanto una polka o una mazurca; volavano stelle filanti e coriandoli…
E’ qua che ho imparato a ballare; come sempre mi insegnò mio padre, che pazientemente curvandosi su se stesso, mi portava (io facevo la donna), per farmi capire i passi base per tutti i balli, un passo a destra due a sinistra, uno a destra e due a sinistra, un due tre, pausa, un due tre, pausa, ecco, il valzer, no, non così, guarda bene, senti: un due tre, pausa, un due tre, pausa, ecco, così va bene.
E poi tornavo ai miei orchestrali, mi piaceva il sassofono, col suo suono caldo, profondo, mi entusiasmava; per non dire dei cantanti! Eppoi ancora tra le braccia di mio padre; che coppia fantastica, ragazzi! Io e mio padre, fra tante coppie con abiti belli (c’erano anche coppie mascherate; ricordo un costu-me molto in voga: il domino, tutto nero con un cappuccio e una maschera anch’essa nera!).
Papà decio ballava molto, gli piaceva da morire; aveva sempre una dama tra le braccia, e a tutte piaceva danzare con lui, signore e signorine.
Anche mamma anna ballava, ma poco, preferiva stare a chiacchierare con amiche e conoscenti sedute ai bordi della sala. Non poteva in ogni caso seguirlo nella danza per tutta la serata; non ce l’avrebbe fatta a tenergli dietro per ore e ore.
La guerra era terminata da poco; bisognava non pensarci più. La vita stentava ancora a tornare alla normalità, ma si tentava in ogni modo; il carnevale era uno di questi modi…
… sono ricordi in bianco e nero, come i film del tempo. Non riesco, quando chiudo gli occhi, a rivedere me e i mie compagni del pratosangiovanni a colori… il palcoscenico, che scopre il sipario, anche esso in bianco e nero, si popola di piccoli fantasmi che recitano sogni…
Marcello de Santis
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