“La guerra”

Ricordo che il più lontano ronzare degli aerei ci metteva addosso una paura silenziosa. Le formazioni dei bombardieri in aria nel cielo di tivoli, ci mettevano in apprensione (forse noi ba,bini non accusavamo tale apprensione, però ricordo bene l'eccitazione negativa sui volti e nei gesti dei parenti, papà, mamma, nonni, zie. Eravamo a casa paterna di mamma, "a corte", nella piazzetta del comune dove ancora oggi c'è la fontana artistica allo angolo del palazzo.
Ci si agita, si comincia a correre di qua e di là per casa, ci si prende a chiamare, a gridare, a darsi la voce; poi si scendeva nella "grotta" che era dabbasso, sotto l'appartamento dei nonni, sotto, sotto ancora al negozio di cuoio e pelli allora gestito da zio toto, (c'è ancora oggi, ma zio toto non c'è più...).
E si scendevano in fretta le scale - le mamme ci prendevano per mano o in braccio (i più piccoli); le scale ineguali alte buie alla fioca lampadina sulla volta rotonda, e si arrivava in cantina, a quella che noi piccoli chiamavamo la grotta; grotta - era in effetti una vera grotta, nera e umida; e ci faceva tanta paura, più ancora degli aerei, di cui non capivamo l'importanza.
E laggiù dovevamo stare al buio, i più piccoli abbracciati alla e dalla mamma, noi più grandicelli, in attea stupita, ma ugualmente con le braccia attaccate alle vesti dei mamma.


Tivoli bombardata - Foto di A.Placidi

Non si accendevano lampade, né candele, si stava in silenzio. Qualcuno dei grandi pregava, gli altri ripetevano le litanie appresso appresso; tutti con una voce che faceva fatica ad uscire, tra la paura e lo spasmo dell'attesa, che avremmo voluto finisse presto...
Poi ancora il fragore delle bombe cadute vicino...
Ho ancora negli occhi e nella gola la polvere fitta del dopo; come una nebbia fastidiosa, che si leva improvvisa, e scende dalla unica apertura rettangolare là in alto, una finestrina lunga e bassa che dava sul livello della strada; i vetri erano andati in frantumi.

Come ho detto, la chiesa del gesù, (laddove oggi ci sono le scuole, la piccola piazza sabucci), non c'è più. Un polverone nascondeva le macerie; quando risalimmo all'aria, gli aerei ormai erano lontani, lontani i ronzii che ce li avevano annunciati, lontane le altre bombe da sganciare, in cerca di altre case o chiese o scuole da distruggere; quando fummo all'aria aperta, dunque, rabbia e lacrime tremavano con noi; e sospiri di sollievo ci gonfiavano il petto, per essere ancora là, bersagli mancati; ma i grandi covavano dentro l'impotenza di poter fare qualcosa contro una guerra inutile, e la gioia e il rilassamento per essere scampati ad un pericolo vicino. La grotta (e qualche santo) ci aveva protetti; ma se una delle bombe fosse caduta sopra di noi?...

Erano momenti di tensione, da lontano urla e lamenti, non di feriti, ma di gente impaurita; e anche noi piccoli nel caos polveroso, piangevamo, ci aggrappavamo alle gonne più vicine, guardavamo nella nebbia, e non vedendo, piangevano di paura. Non so, ma credo che il bombardamento ci restò, a tutti, nelle orecchie e negli occhi per diverso tempo.

Papà decio, mi sembra di ricordare, correva alla vicina sede della croce rossa, a piazza delle; e si ritrovava immenìdiatamente con gli altri militi della CRI, pronti a partire in giro per il paese, guidati dal fumo e dalla povere alta sulle case colpite; a piedi i più con le barelle in mano, altri con l'atombulanza, come la chiamavamo noi piccoli. A cercare tra le macerie, i feriti; al gesù, a via col- sereno, dove oggi c'è il largo baia e la palestra marmotti); avevano pochi mezzi a disposizione; due o tre lettighe, qualche coperta militare, quelle color marrone o color cenere scura, pesanti, qualche lenzuolo, un telone, qualche boccetta di spirito, poche bende e fascette; poca roba, è vero, ma era così.


Tivoli bombardata - Foto di A.Placidi

Via di corsa a scavare e tirare fuori chi ancora poteva essere aiutato, o a tirare fuori chi di aiuto non ne aveva più bisogno. In ogni caso dovevano estrarre corpi; di persone vive o di morti (mi ha portato con sé, qualche volta, e ho seguito da vicino la loro attività; ero piccolo, ma mi piaceva vedere; e talvolta partecipavo, con mia grande gioia o soddisfazione, non so dire a distanza di tanti anni. Mi comandavano per piccole cose. E mi sentivo importante.

Ero ancora con lui, alla piazza davanti al convitto nazionale, c'era il monumento ai caduti (oggi si trova ai giardinetti), e il convitto, o una parte di esso era stato bombardato; con esso anche qualche palazzina, dove oggi sono le tre grandi fontane; ero là, dicevo, coi militi della C.R.I., vicino a papà e agli altri; sedevo su un sasso sgretolato meno di altri, in calzoncini corti o addirittura in mutandine, e una canottiera, (era l'unico vestito dei giorni d'estate, per noi bambini...).

Avevo gli occhi spalancati a quelle case letteralmente sventrate, che vedevo ridotte a una montagna di sassi, di ferri; qualche parte di muro maestro ancora in piedi, qualche tramezzo, poco più; non capivo, ma vedevo: ed era già triste così, credetemi!
Papà decio e gli altri militi si davano da fare, con le mani nude, a scavare: era caporalmaggiore, piccolo grado, ma se ne vantava; anzi, ne era orgoglioso, e i compagni glie lo riconoscevano volentieri, l'orgoglio, e lo rispettavano.
Lavoravano sodo, fino allo stremo delle forze.
Con le mani tagliate, impolverate, sporche, dove vedevi pri-ma le bolle (coperte da un fazzoletto avvolto intorno alla mano), poi, più tardi, i calli. L'atombulanza era là vicino, le portiere di die-tro aperte, pronta, e mostrava le due barelle all'interno.

Già il 16 novembre 1941, anno XX dell'era fascista, e io non c'ero ancora vicino a lui), con lettera prot. 6278 il podestà di tivoli aldo chicca comunicò a papà decio e agli altri militi il compiacimento del prefetto e suo per l'opera svolta in una delle tante azioni di soccorso che li videro protagonisti.

... ma c'ero veramente là, con mio padre, come in questo lontano ricordo? So che le scene del teatro della memoria le ho viste spesso, nel corso della mia vita, scene che si sono allontanate man mano che crescevo; ma ancora oggi mi chiedo: c'ero là, a fianco di papà decio? o i racconti che ho sentito spesso, da mamma e papà, mi hanno reso "reale" un ricordo sognato? Se ci penso bene e se le bombe risalgono al '42, io avevo tre quattro anni; se successive, potevo averne cinque o sei... in ogni caso, questo potrebbe essere solo un lungo ripetuto racconto, trasformato dalla memoria... in un ricordo...



Marcello de Santis

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