Codesto pontefice fu spinto a tale passo dalla necessità di giungere ad un accordo con i fratelli Giovanni e Nicola Colonna, i quali erano al servizio del re di Napoli, Ladislao, che invece favoriva Gregorio XII . Ladislao dai Romani nel 1405 era stato accettato come loro signore avendo le sue truppe saccheggiato l'Urbe. La fortuna però non arrise ai Colonna: Nicola morì dopo solo trenta giorni dalla suddetta concessione. Gli eredi detennero San Vittorino fino al 1436, anno in cui Eugenio IV (al secolo Gabriele Condulmer, entusiasta della cultura umanista) lo incamerò nel patrimonio della Camera Apostolica. Preoccupato dell'enorme potere dei Colonna, il pontefice potè godere dell'appoggio di un'altra ricca e forte famiglia: gli Orsini.
I Colonna mal digerirono la cosa e misero in piedi una sollevazione popolare che si concluse con la cacciata di Eugenio IV (1434). Non fu però per loro facile riprendersi i possedimenti. Nonostante l'esilio del papa infatti le truppe pontificie, guidate dal card. Vitelleschi, li sconfissero nell'agosto del 1436, distruggendo i manieri di Corcolle, Passerano, Zagarolo, Osa e naturalmente quello di San Vittorino.
Solo dopo un decennio, durante il quale Roma fu retta da una caotica repubblica, il predetto pontefice ritornò sul trono pontificio e nel 1443, come allora consuetudine, per ringraziare il condottiero Roberto Montella, per aver militato per la Chiesa, gli assegnò il castello di San Vittorino e l'altro di Corcolle con annessi territori (in pratica parte degli ex possedeimenti dei vinti Colonna). Cinque anni dopo però quest'ultime proprietà insieme a quelle di Zagarolo, San Cesareo e Gallicano, tornarono a Lorenzo Colonna e famiglia. Nel 1498, a costoro subentrò Antonio Del Drago (scrittore di lettere apostoliche presso il Vaticano). Il dispotico Alessandro VI , padre di Cesare e Lucrezia Borgia, sottrasse la proprietà al Del Drago che ne rientrò in possesso solo nel 1519 non prima di averla rilevata sborsando una bella cifra.
Nel 1635 fu venduta dai suoi discendenti al cardinale Francesco Barberini, nipote dell'allora pontefice Urbano III e membro di questa potente famiglia; fu il presule a intraprendere i primi lavori di restauro del castello e del borgo. A causa dei debiti San Vittorino fu poi ipotecato dal predetto cardinale a Stefano Pallavicini, principe di Gallicano.
Nel 1693 i Barberini lo vendettero al duca di Poli, Giuseppe Lotario che subito dopo se ne disfece rivendendolo ai Barberini, attuali proprietari. Costoro durante il XIX sec. si dettero molto da fare per cercare di arginare il diffondersi della malaria che imperversava nelle zone paludose dei territori circostanti Roma.
Il castello, più esattamente il Palazzo, attualmente ha l’aspetto di una residenza di campagna. Le torri merlate, realizzate nel 1937, sono totalmente diverse dalle originarie che avevano una copertura spiovente realizzata con tegole. Ritroviamo lo stemma araldico (tre api) dei Barberini anche sull'architrave del portone d'ingresso. Attraverso questo, rimaneggiato nel Seicento e fiancheggiato da una torre quadrata restaurata, si accede all’interno del palazzo che però ha perso lo stile originario essendo stato più volte ristrutturato. L’antichità della costruzione è attestata solo da sporadici e sporgenti residui blocchi di tufo. Due gruppi isolati di modeste case occupano la corte del borgo.
Scarica gratuitamente le nostre audioguide o le guide tascabili.
Patrocinio Comune di Tivoli
Assessorato al Turismo