Kähler e Grenier ad esempio, basandosi sul fatto che tutte le statue egiziane trovate a Villa Adriana erano state riportate alla luce al Canopo ed a Roccabruna, erano convinti che la tomba di Antinoo fosse da ricercare lì. Per la curatrice del Lazio, architetto Eugenia Salza Prina Ricotti, invece tali statue egizie decoravano non la tomba di Antinoo ma i giardini a terrazzo situati sulle colline delimitanti questa valle. Bisognava cercare altrove. Per lei decisivo punto di partenza fu una nota di un archeologo del XVII secolo, Bartoli, che aveva annotato come dieci statue trovate nel Seicento erano state trovate nella zona antistante le Cento Camerelle.
Altro aiuto decisivo per aiutarla ad individuare il luogo ove era la tomba di Antinoo, furono gli scavi compiuti (dall'allora Soprintendente del Lazio, dott.ssa Reggiani)
sull'accesso a Villa Adriana.
Alla luce di tali nuovi scavi, fu ridisegnata la mappa della Villa. La lacuna, derivante dal mancato ritrovamento di un edificio consacrato a quel giovinetto che, dopo la morte, ricevette onori divini e fu venerato nell'impero come Osiride, Dioniso o Hermes, è stata così colmata nel 2002. In quell'anno è stato riportato alla luce dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio un monumento in precedenza completamente interrato situato lungo la strada di accesso al "Grande Vestibolo", davanti le Cento Camerelle.
Antinoo
Si tratta di un vasto edificio costituito da un'ampia esedra semicircolare preceduta da un recinto rettangolare che racchiudeva due templi affrontati. Si conservano solamente le fondazioni in muratura, ma i numerosi elementi architettonici rinvenuti hanno consentito di ricostruire l'alzato dei templi e il portico dell'esedra con colonne tortili in giallo antico. Gli elementi più importanti appartengono tuttavia alla decorazione interna della cella dei templi, tra cui si segnalano blocchi con raffigurazioni in bassorilievo ispirate al repertorio religioso dell'Egitto.
La costruzione del monumento, in base alla tecnica edilizia utilizzata e ai marchi di fabbrica sui mattoni, risulta posteriore al 134 d.C., anno del ritorno di Adriano dal viaggio in Egitto.
L'Antinoeion fu pertanto l'ultimo grande edificio realizzato nella Villa; collocato in area marginale e lungo una strada come si conveniva a una tomba, ma anche direttamente visibile dalle stanze del palazzo privato di Adriano (Edificio con Peschiera), per il quale il tempio-sepolcro doveva avere soprattutto la funzione di un luogo-memoria ove ricordare Antinoo da vivo. Da un attento esame è stato appurato che il monumento (iniziato non prima del 136 essendosi speso del tempo per progettarlo e reperire i materiali) non fu mai completato.
Gli scavi del dr. Zaccaria Mari hanno appurato che Adriano riuscì a far realizzare i due templi, il giardino della tomba e il recinto che li racchiudeva ma non fece in tempo, morendo nel 138, a far edificare la parte monumentale della tomba, la grande esedra (di cui restano le fondazioni), il sacrario di Antinoo-Osiride.
Lo scavo del recinto ha chiarito come fra l'esedra e i templi si sviluppassero lunghi canali e aiuole, delle quali restano le fosse incavate nel tufo, che conferivano all'area l'aspetto di un giardino arredato anche con fontane e bacini (nel sottosuolo si conservano cunicoli per lo smaltimento dell'acqua).
Il giardino della tomba di Antinoo, che gli studiosi hanno ricostruito in modo molto preciso grazie al predetto suo impianto ritagliato nella pietra (ovvero trincee per le siepi, fosse per gli alberi o arbusti, canalizzazioni e bacini) si mantenne ben conservato fino alla fine dell'Impero romano d'Occidente (463 d.C.) quindi fu abbandonato e saccheggiato in seguito alla discesa dei barbari.
Le spoliazioni compiute dalle popolazioni locali per riutilizzare come materiale edile e ornamentale statue, colonne ecc. fecero il resto. Nel giardino per abbellire il monumento funebre dedicato allo sfortunato Antinoo, fu realizzato e collocato anche un obelisco (ora al Pincio) avente un'altezza di 9,24 metri. Il ritrovamento, che ha destato maggiore interesse, riguarda una serie di frammenti di statue in marmo nero, relative a divinità egizie o a figure di sacerdoti e offerenti, tra cui anche il pilastro dorsale con scritta in geroglifico di una statua originale del faraone Ramses II, importata direttamente dal delta del Nilo.
Secondo l'architetto Eugenia Salza Prina Ricotti, qui probabilmente furono riportati alla luce i due Telamoni (sotto forma di Antinoo-Osiride) attualmente custoditi nei musei Vaticani ed in precedenza collocati ai lati della porta di ingresso dell'Arcivescovato di Tivoli.