Dalle origini al 1169

L'origine di Gerano è strettamente connessa con quella più antica della Valle del Giovenzano, terra abitata dai Latini, in parte dai Sabini e confinante con gli Equi. Roma insedia qui la cittadina di Trebula Suffenas, fiorente dal III secolo a.C. al IV secolo d.C. Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (463 d.C.) e la sua conseguente decadenza, anche Trebula scompare. È allora che un certo numero di persone si insedia presso la Domusculta o "Curtis Domnica" di S. Anatolia (VI secolo). Siamo nell'Alto Medioevo ed è in questo periodo che, dai villaggi sparsi sulla massa Giovenzana, ben presto si forma quello che diventa il centro terriero più importante, sorgendo sulla parte più fertile della massa, il vico Trellanum.
Giovanni Censi a pag. 24 di "Gerano dalle origini al 1169" dice che "Trellano si distingue nella zona insieme a Tivoli e Subiaco, per una sua vitalità politica-economica". Quando Trellanum è ancora una semplice colonia, la sua amministrazione appartiene al papa, che vi esercita un potere temporale (batte moneta, arruola soldati).

Scorcio del centro storico di Gerano
Ingrandisce foto Scorcio del centro storico

A questo periodo risale la chiesa di Sant'Anatolia, sorta prima dei paesi adiacenti, ben settant'anni prima di Gerano e sembra ben dieci anni prima dello stesso vico Trellanum. Gerano, come fonti storiche attestano, viene identificato con i nuclei abitati del vico-castello Trellano di cui fu erede sia per tradizione che per economia, prima come fondo o monte (978-991), poi come castello sempre conteso insieme alla massa Giovenzana (997-1005). È indiscusso che Trellano e Gerano convissero vicini per ca. mezzo secolo, fino a che, tra il IX e il X secolo, il primo non trasferì i suoi abitanti sul vicino monte Geranum, già castrum dal 21 luglio 1005.

Per il castrum Girani la vita non fu facile essendo sempre conteso tra il Vescovo di Tivoli, l'Abate di Subiaco e il Convento di San Cosimato (entrato nella controversia nel 971). Occorreva mantenersi vigili e sfruttare tali rivalità. È vero che i geranesi riuscirono nel 978, prima degli altri, ad emanciparsi ottenendo anche la libera conduzione dei terreni ma dovettero subire le conseguenze della secolare contesa nei loro riguardi operata dai feudatari tiburtini e dagli abati sublacensi. Il 1077 per Gerano è un anno nero: viene divisa due castellanie ecclesiastiche (vescovile ed abbaziale) ed un'oligarchia sorta dalla sottrazione di beni delle precedenti, operata da Lando di Civitella. La contesa si inasprisce quando l'Abate sublacense Giovanni V (appartenente alla famiglia degli Ottaviani) fortifica il poggio Marino per assediare Gerano, dove, una volta ripresa la metà occupata, fa edificare, nella zona più arroccata dell'antico borgo, un Palazzo, una Torre ed una Cappella privata.

Centro storico
Ingrandisce foto Centro storico di Gerano

Ciò è intollerabile per il vescovo Adamo di Tivoli. A sanare in parte la contesa interviene il Papa Gregorio VII (1077-1078); il pontefice ordina "che Gerano resti sempre diviso in due castellanie, ambedue i prelati vi possano liberamente accedere e difendersi e si impegnino ad ultimare la costruzione della Rocca (palazzo e torre)". La vita per i Geranesi è difficile. Poi il ladrocinio di Bertraimo nel 1112, quindi il nuovo assedio operato dall'Abate Giovanni e tutto torna come prima (vedi bolla di Pasquale II del 1115).

Un po' di pace si respira solo sotto il vescovo benedettino Manfredo (1110- 1119), ma dura poco perché ricominciano le lotte con l'abate Pietro IV (1123-1145). Nel 1126, come riportato nel Regesto Tiburtino documento XVI, si tentano approcci di pace a cui segue un improvviso attacco che porta alla distruzione nel 1128 del poggio di Casapompuli, edificato e sorvegliato dai Tiburtini sul colle antistante Gerano. I Tiburtini, occupati in altre lotte, non rispondono a tale assalto; solo nel 1143 occupano nella valle Giovenzana i due castelli di "Bubaranum et Apollonium". Nel 1145 una giusta svolta: l'abate Rainaldo giura al conte Rainerio di riconsegnare tutte le decime e i beni tiburtini in territorio geranese. A ratificare l'atto pensa l'abate Simone che firma la pace nella chiesa di S. Anatolia. È il 16 maggio 1169. Presente il notaio Gregorio di Tivoli. Tra i testimoni il notabile Giovanni di Gerano, discendente di Lando.

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