Le prime derivavano nientemeno che dalle calzature usate dalle genti antiche italiche; erano in cuoio o in pelle di capretto e venivano allacciate tramite dei lunghi lacci intrecciati sul piede e sulla gamba o per mezzo di una serie laterale di bottoni.
Il secondo era un accessorio necessario per sottolineare il colore corvino dei capelli e lo sguardo ammaliante di due occhi che si stagliavano sotto due splendide sopracciglia nere. In genere il tessuto usato era il lino o il cotone, aveva una forma rettangolare, veniva inamidato e fissato sulla sommità del capo grazie a degli spilloni.
Un indumento “intimo” lasciato a vista era la Camiciola (anch’essa di lino o di cotone) munita di un’ampia scollatura. Il busto della donna era invece avvolto dal Corzé o Vustu (busto); in genere era in damasco o in broccato foderato ed era allacciato ai lati tramite degli occhielli in cui venivano fatti passare i due nastri che dovevano chiuderlo.
Della stessa stoffa del Corzé erano le Maniche che però non arrivavano fino alla spalla ma si fermavano alla stessa altezza del Corzé; dei nastri colorati ne guarnivano l’orlo. Il bacino e le gambe erano invece coperte dal Varneju o gonna pieghettata terminante al bordo con un colore diverso; era tenuta stretta in vita per mezzo di una stringa di seta. Sulla veste veniva messo lo Zinale, un grembiule arricciato in vita in tessuto leggero.
I gioielli delle popolane di Tivoli e della Valle d’Aniene erano collane (a più fili) di corallo rosso a grani martellati, in genere a gradazione, e gli orecchini dello stesso materiale fatti “a navicella” ove, nella parte inferiore, tramite un foro era appeso il pendete in corallo di forma allungata o a pera e sfaccettato.