Se Parigi è oggi la capitale dei profumi, Alessandria d'Egitto lo era nell'antichità. Qui giungevano, grazie alle vie carovaniere, dall' Estremo Oriente e dall'Africa Nera tutte le piante necessarie alla lavorazione per ottenere i profumi. Il termine profumo deriva dal latino "pro fumo"; molti aromi infatti possono essere annusati bruciando resine che diffondono un effluvio. I profumi, spalmati dai Romani su tutto il corpo, non erano altro che un unguento essendo mischiati ad olio o a grasso di origine animale o a succo di frutto acerbo.
Per profumarsi non si badava a spese; 100 milioni di sesterzi annui (secondo Plinio il Vecchio) impinguavano così le casse dei Paesi (Cina, Arabia, India) produttori di materie prime per realizzare i profumi. Mentre oggi quest'ultimi vengono ottenuti con l'antico procedimento introdotto dagli Arabi nel lontano sec. IX d.C. cioé per distillazione, allora essi si ottenevano con la macerazione seguita poi dalla spremitura oppure erano estratti con l' utilizzo di solventi e grassi.
Per i Romani era un rito profumarsi al termine di una giornata passata alle terme pubbliche, o al ginnasio o a casa. Erano i servi o gli schiavi a cospargere ed a frizionare i corpi dei padroni con tali unguenti olezzanti. Per aumentare l'effluvio si impregnavano persino le pareti oltre alle tuniche, parrucche e scarpe. L'imperatore era il più profumato di tutti i Romani poiché poteva spendere molto. Nerone ogni volta che lasciava Roma si faceva seguire da un carro carico di profumi. I Romani si erano interessati ad essi venendo a contatto con la Magna Graecia, che avevano sì assoggettato ma da cui erano rimasti conquistati per la sua cultura, arte e profumi.
Capua fu, per tutto il periodo imperiale, il maggiore centro di tali unguenti, seguita subito dopo da Pozzuoli ove arrivava il grano per l'annona di Roma, inviato annualmente dall'Egitto tramite la flotta alessandrina. A Pozzuoli però c'erano anche molti artigiani che producevano: vetri, ceramica, oggetti in ferro e in bronzo, profumi, colori.
Roma poi potè, tramite il Mediterraneo diventato un "mare nostrum", approvvigionarsi dei profumi di Rodi, di Tarso, di Corinto, di Delfo, di Alessandria. Essi potevano essere acquistati a Roma in una strada specializzata nella loro vendita: il "Vicus unguentarius". I profumieri inoltre erano raggruppati addirittura nella congregazione del "collegium thurariorum et unguentorium". Estese coltivazioni di piante aromatiche erano a Palestrina e a Paestum ove erano piantati molti rosai per produrre grandi quantità di rose da utilizzare per ottenere i tanti sospirati unguenti profumati. Non potendo essere venduti sfusi (il rischio che si correva era lo svanire dell'essenza) i profumi venivano posti in commercio in dei contenitori in vetro soffiato molto artistici e dalle forme più svariate. I contenitori erano naturalmente sigillati. Accanto ai luoghi, dove si producevano i profumi, si trovavano anche vetrai addetti a creare gli artistici contenitori.
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