Così esso attecchì e si diffuse anche nella penisola iberica ove attualmente, specialmente in Andalusia, trova la sua maggiore produzione. Con l’avvento del Cristianesimo l’olio tornò ad essere utilizzato nelle cerimonie sacre. Fu tuttavia in età romana (a partire dal III sec.a.C.) che si registrò un grande consumo dell’olio utilizzato non solo per l’illuminazione delle lucerne ma anche per lucidare le statue, per raffinare le pietre preziose, per la cosmesi, per la medicina, per lavorare il cuoio, per le pratiche igieniche. Galeno (medico famoso vissuto presso la corte dell’imperatore Marco Aurelio) considerava l’olio come il migliore mezzo medicamentoso che l’uomo aveva a disposizione.
Con la caduta dell’Impero Romano alla crisi politica si aggiunse anche quella economica ed agricola. Quando i Longobardi scesero in Italia sottomettendola in parte, la cultura mediterranea (che utilizzava esclusivamente l’olio d’oliva) venne a contatto con la cultura germanica (che invece utilizzava esclusivamente grassi animali, come strutto, sugna, lardo).
I Longobardi però capirono subito l’importanza dell’olio e incrementarono gli oliveti fin dai primi decenni dell’VIII sec. Così solo nel Medioevo, grazie ai cospicui lasciti in uliveti, fatti dai Longobardi, dagli Svevi, dagli Angioini, al Papa, alle abbazie, alle chiese, ai conventi la produzione di olio a poco a poco riprese e ne ricominciò il commercio curato nel Duecento dalle Repubbliche Marinare (in primis dalla Serenissima).
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