Presso tutte le civiltà nate intorno alle coste bagnate dal Mediterraneo, la pianta dell’olea (olivo) è stata sempre considerata sacra per cui l'olio, estratto dai suoi frutti, era dagli antichi utilizzato nelle cerimonie religiose per rituali ed offerte votive.
La Bibbia, nella Genesi (8,10-11), narra che Noé, scampato al diluvio universale, liberò una colomba che, uscendo dall’arca dove era stata imbarcata con coppie di esemplari di tutti gli animali esistenti, si librò in volo verso il Monte Ararat (alle cui pendici si era incagliata l’arca) e poi tornò all’imbarcazione recando un ramoscello di ulivo nel becco. Le prime documentazioni riguardo l’esistenza di questa pianta risalgono infatti intorno al V millennio a.C.; proprio la coltivazione dell’ulivo e della vite, praticata dai popoli occupanti l’estremo lembo del Mediterraneo orientale (Grecia Palestina, Siria, Turchia), fece sì, secondo il grande storico greco Tucidide, che essi si affacciassero alla civiltà e divenissero economicamente e politicamente potenti proprio sfruttando commercialmente la produzione olearia in cui eccellevano.
Anche l’archeologia ha contribuito a far comprendere il ruolo primario che l’ulivicoltura ricopriva presso la civiltà minoica o egeo-cretese: nei Palazzi-magazzino di Crosso, di Festo ad esempio sono stati riportati alla luce affreschi in cui sono riprodotti gli ulivi e le navi utilizzate per il trasporto dell’olio, così come sono fortunatamente stati rinvenuti torchi ed enormi recipienti atti a conservalo.
Non solo però a Creta si sviluppò l’ulivicoltura ma essa fiorì persino in Egitto (il faraone Ramses III ordinò la messa a dimora del primo uliveto che avrebbe dovuto produrre l’olio consacrato al dio Ra); l’olio per gli Egizi era un dono degli dei. Furono i Fenici ad incrementarne il commercio; lo chiamavano “l’oro liquido” e lo vendevano negli scali che toccavano insieme ad un altro loro prodotto destinato ai ricchi: la porpora. La coltura degli ulivi era praticata fin dal 1000 a.C. dai Filistei, dagli Ebrei (che utilizzavano l’olio per ungere il loro Re), dai Palestinesi, dai Greci. Furono proprio quest’ultimi a fare dell’ulivo il loro primario prodotto agricolo e ad esportarlo nelle colonie della Magna Grecia (e quindi anche in Italia meridionale); la loro religione valorizzava questa pianta che secondo la tradizione sarebbe stata donata agli uomini da Minerva o Atena, la dea protettrice di Atene, la città più importante dell‘Attica.
Simbolo di questa dea era quindi l’olea che rigogliosa cresceva sulle alture dell’Acropoli, lì dove si ergeva il Partenone, tempio consacrato proprio ad Atena. L’ulivo era tanto importante in Grecia che spesso veniva riprodotto su una faccia della moneta. L’olio presso i Greci era utilizzato anche per scopi medicamentosi e per riempire le lampade votive.
Quando poi Roma nella sua espansione venne a contatto con le colonie greche della seconda colonizzazione presenti nell’Itala meridionale ed insulare, venne a contatto anche con l’ulivicultura che tanto interesse suscitò nell’ agronomo romano G.M. Columella che nel “De Rustica” ne sciorinò le caratteristiche. Con l’espansionismo della Repubblica e dell’Impero romano, l’ulivo fu esportato ed impiantato ovunque, in tutti i Paesi che, romanizzati, si affacciavano su quello che orgogliosamente veniva detto “Mare Nostrum” (il Mediterraneo, ridotto quasi ad un “lago” circondato ovunque dalle terre controllate da Roma).
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