Per conoscere come era organizzata la conduzione di un monastero
italiano nel VI sec. basta leggere la raccolta di norme per
la vita monastica redatta da un anonimo autore intorno al
540 conosciuta come "Regola del Maestro"; tuttavia
anche i Dialoghi di S. Gregorio e la Regola di S.Benedetto
contribuiscono ad illuminarci in tale campo.
Nello spaccato temporale qui esaminato si deve dire che il
monastero era costituito semplicemente da una piccola costruzione
coperta a tegole o a tavole sovrapposte. Era circondato da
stanze adibite ad ufficio, da dipendenze e da una fattoria
posta poco più distante. Il convento non aveva un secondo
piano in quanto ospitava al massimo 15 monaci per cui tutta
la vita si svolgeva al pianterreno.
Nell'oratorio,
in cui un semplice altare faceva bella mostra, l'unico
arredamento era costituito da sgabelli o banchi di legno.
Chiaramente nel monastero erano allestite anche una
sala per la lettura ed una per il lavoro. Non esisteva
il chiostro; c'era la cucina ed un po' appartate delle
stanze per i novizi e per la foresteria.
La messa non veniva celebrata quotidianamente mentre
l'eucarestia era distribuita dall'abate quasi ogni giorno.
L'esecuzione del canto delle lezioni e la salmodia d'uffizio era accompagnata da una sola nota (tono di lezione). L'uffizio notturno iniziava alle due del mattino; verso l'alba i monaci intonavano le laudi. Scoccate le sei mattutine cantavano la prima e, distanziate ciascuna da tre ore, la terza, la sesta e la nona. Negli intervalli si procedeva alla lettura ed ai lavori della fattoria o a rigovernare il monastero. All'inizio i monaci non erano né dei sacerdoti né dei saggi ma uomini spinti dal desiderio di vivere insieme per meglio servire Dio e per soccorrere materialmente e spiritualmente tutti quelli che si rivolgevano a loro. Da ciò si evince che il loro rituale era inizialmente molto semplice. Il vespro si diceva nell'ultima ora diurna e, compieta, dopo aver consumato la cena e la lettura di un passo di Cassiano.
In inverno e nei giorni riservati al digiuno si faceva solo un pasto a mezzogiorno; la sera si beveva dell'acqua con un pezzetto di pane. Nei mesi che andavano dalla Pasqua a settembre i pasti, giornalmente consentiti, erano due: uno alle 12 e l'altro alle 18. S.Benedetto non voleva che si oziasse ritenendo l'ozio il padre dei vizi per cui la sua regola era "Ora et labora" (prega e lavora); ecco perché la giornata dei monaci era ripartita tra ore dedicate alla lettura dei testi sacri, altre alla preghiera ad altre ancora al lavoro manuale.
Durante la Quaresima ogni monaco riceveva un libro da leggere di seguito e per intero; per garantire che tale norma fosse rispettata vi erano monaci anziani addetti alla sorveglianza: nessuno doveva impigrire o disturbare con le chiacchiere i confratelli distogliendoli dalla lettura. Il monaco che compiva qualche mancanza veniva rimproverato la prima e la seconda volta ma alla terza mancanza veniva punito severamente per essere di monito agli altri. Era vietato nelle ore non stabilite stare in compagnia con gli altri monaci. La domenica era riservata alla lettura; sola eccezione veniva fatta per coloro addetti a svolgere altri compiti. Chi invece era malato o troppo vecchio era impiegato dall'abate per compiere lavori più leggeri ma mai era dispensato dal non far nulla.
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