Lo storico marinese Girolamo Torquati ritiene che nel Santuario fosse esposto in origine il Santissimo Crocifisso di Marino, che iniziò a fare miracoli nel giugno 1635; esso fu poi trasferito dalla congregazione religiosa dei Chierici Regolari Minori nel giugno 1637 nella chiesa della Santissima Trinità, dove ancora è custodito. Successivamente, e precisamente nel 1792, i due citati sacerdoti finanziarono nuovamente il santuario per completare la torre della canonica con altri due piani e realizzare sopra di essa un piccolo campanile a vela già esistente nella seconda metà del Cinquecento. Nel 1926 Riccardo Tuccimei, enfiteuta del Santuario all'epoca di proprietà del capitolo della basilica collegiata di San Barnaba, decise di demolire il campanile della chiesa nonostante la contrarietà del Comune e della "Società dell'Acqua Santa". Il piccolo campanile a vela fu così demolito; delle due campane qui situate, una è andata dispersa, mentre l'altra viene ancora utilizzata all'interno del santuario. Entrambe erano state realizzate nel 1792, unitamente al campanile, grazie ai finanziamenti dei summenzionati sacerdoti calabresi Giovanni Andrea e Nicola Fico.
Il nartece del Santuario, anch'esso realizzato nel 1819, era originariamente sopraelevato di tre gradini rispetto al piano stradale (attualmente c'è un solo gradino in seguito alla pavimentazione in sanpietrini della piazza antistante, realizzata all'inizio del XX sec). Il portale interno della chiesa, in origine direttamente situato all'esterno, è stato realizzato nel XVIII secolo e presenta stipiti modanati ed un timpano arcuato al centro del quale probabilmente era collocato uno stemma, come raffigurato da alcune stampe e disegni.
Alla sacrestia si accede attraverso una porta in bronzo del pittore e scultore marinese Stefano Piali. Vi è raffigurato il miracolo della Madonna dell'Acquasanta. Mentre la suddetta opera è del 2005 gli stipiti in peperino della porta sono antichi. Si entra così in un locale rettangolare dal soffitto con volta a padiglione impreziosito da da stucchi del XVIII secolo in gran parte rovinati. Situato all'esterno della sacrestia c'è quello che Vincenzo Antonelli ipotizza essere stato l'"orto" che diede la prima denominazione al luogo di culto. Qui è collocata la scala, scavata nella viva roccia di peperino, che costituiva l'accesso originario all'immagine mariana prima della costruzione della chiesa.
Il santuario conserva tracce di intonaco e costolonature per cui si ipotizza che forse inizialmente le pareti e la volta erano intonacate. Attualmente invece la roccia è lasciata a vista e presenta chiazze di umidità. Il perimetro dell'aula è attraversato da un robusto cornicione.
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