La storia di Mandela

Il nome del paese, Mandela, non è altro se non quello con cui il villaggio era noto in epoca romana. Orazio, nella citata epistola (1, 16, 1-14), ne parla a proposito di una villa chiamata Sabinum o Sabini. Il poeta afferma che essa si trovava nel paese dei Sabini a nord di Tivoli e ricorda che gli era stata regalata da Mecenate. La descrive e ci informa sul fatto che egli qui teneva un gastaldo con otto schiavi per il lavoro dei campi. Aggiunge che spettavano inoltre al podere cinque masserie. Questi abitavano in un pagus (villaggio) ubicato sul pendio della valle della Digentia ed aveva il nome di Ustica. Al podere era unito un bosco chiamato Haedilia. In vicinanza della villa scaturiva una sorgente di acqua limpidissima che, riunendosi ad altre acque formava poi il Digentia (ora Licenza), sul quale, al suo uscire dalla valle, si trovava il villaggio Mandela, detto poi Bardela (Ep. 1, 18, 105). mentre viene citato come Massa Mendelana nell'iscrizione di una lapide dedicata, nel I secolo d.C., a Valeria Massima.

Mandela
Ingrandisce foto Piazza

Poi il paesino fu noto semplicemente come Cantalupo. Negli atti della burocrazia pontificia è riportato affiancato il nome Bardella (tranne che nel periodo 1676-1680 in cui il paese è invece citato come Cantalupo di Madama); alcuni invece hanno considerato Cantalupo e Bardella come se fossero due diversi centri, due castelli. Nel 1843 il paese era ancora citato con entrambi i nomi associati. Si ignora il motivo per cui si tornò ad utilizzare l'originario nome Mandela dopo l'unità d'Italia.

Ma facciamo di nuovo un passo indietro nella storia. La splendida posizione geografica permetteva al paese in questione di controllare la sottostante valle dove transitavano nel fondovalle dall'antico Sannio (Abruzzo) tutti coloro che erano diretti a Roma per commercio o per pellegrinaggio (o ne facevano ritorno). I Saraceni, arroccati a Saracinesco, attaccavano e depredavano i viandanti. E' naturale quindi che tale posizione fosse sfruttata dalla potente Abbazia di Farfa (a cui andava la simpatia della ghibellina Tivoli), rivale di quella sublacense, appoggiata dai pontefici.

Mandela
Ingrandisce foto Scorcio del centro storico

Seguendo il tipico e medievale fenomeno dell'incastellamento, i farfensi incastellarono la collina di Bardella e fortificarono il piccolo borgo di Cantalupo, approfittando della crisi in cui versava l'Abbazia di San Cosimato a cui quest'ultimo borgo apparteneva. Con la morte di Alberico nel 954 infatti, per il complesso di S. Cosimato era iniziato un periodo di decadenza. Non essendo più appoggiato, aveva dovuto rinunciare a molti possedimenti che il defunto gli aveva dato sottraendoli all'Abbazia di Subiaco ed a cui erano tornati per decisione pontificia. Così, non avendo più forti risorse, il monastero di S.Cosimato era divenuto facile preda delle mire dei potenti signori confinanti tra cui i Crescenzi Ottaviani; poi nel 1081 il pontefice Gregorio VII lo aveva incluso tra i possedimenti dell'abbazia di S.Paolo fuori le Mura ma anche Tivoli aveva allungato le mani ed aveva occupato e fortificato il complesso di S.Cosimato.

Tornando al predetto incastellamento sul rialzo di Bardella, esso era costituito da un maschio (torre) di pianta quadrata che dominava lo spiazzo delimitato da una cinta muraria in cui trovavano collocazione vari edifici utilizzati per la difesa del castrum. Immediatamente a ridosso di tale cinta muraria erano poche case, con una chiesa dedicata a San Pietro, che come di consuetudine allora, aveva anche un piccolo ospedale. Il borgo di Cantalupo era vicinissimo: bastava oltrepassare il ponte levatoio che permetteva di superare il fossato. Cantalupo aveva una chiesa, era dedicata a San Nicola di Bari. Anche nel paese di San Polo dei Cavalieri (come in altri limitrofi) c'è una chiesa dedicata a questo Santo, il cui culto nel Medioevo fu particolarmente seguito. Nel caso di San Polo si racconta che grazie alla protezione di S. Nicola due Sanpolesi, partiti per liberare i luoghi santi grazie alle Crociate, sarebbero riusciti a tornare a casa sani e salvi.
Durante il pontificato di Celestino III (1191-1197) Cantalupo e Bardella furono dati in pegno agli Orsini (ne furono signori fino alla metà del secolo XVII).

Verso la fine del Quattrocento però l'importanza strategica della posizione geografica cominciò a diminuire senza contare che pure le sorti degli Orsini subirono un tracollo. Il risultato fu che Bardella decadde.
Essendo Cantalupo e Bardella, oberati dai debiti contratti dagli Orsini di Vicovaro, nel 1650 Innocenzo X, al secolo Giambattista Pamphili eletto papa nel 1644, concesse a Porzia Moroni e Raffaele Andisiglia, erede di Anna Moroni, la facoltà di rilevarli e di venderli a Cesare Palazzolo. Alla sua erede, Margherita Palazzolo, il nuovo pontefice Alessandro VII concesse con una scrittura di propria mano e datata 26 aprile 1659 di rivenderli a Francesco Nunez Sanchez ma nel 1660 il cardinale Orsini vi si oppose portando avanti il fatto che la liquidazione dell'eredità Orsini non era ancora definitiva. Il papa quindi impose a Margherita Palazzolo la restituzione dei soldi ricevuti da Francesco Nunez Sanchez, limitandosi solo a riscuotere gli interessi fino a quando la vertenza fosse conclusa.

La famiglia dei Nunez, pur mantenendo dal 1659 il complesso di Cantalupo e Bardella unitamente al titolo di marchese, solo nel 1706 (acquistando la terza parte del feudo proveniente dall'eredità Orsini) divenne proprietaria a tutti gli effetti a cui seguì da parte dei mandelesi un solenne giuramento di vassallaggio il 18 giugno 1706. I Nunez mantennero il feudo per tutto il XVIII secolo acclamati dalla popolazione per la loro disponibilità. Tra le loro iniziative occorre ricordare la costruzione della chiesa di San Vincenzo al borgo, dove sono custodite le loro tombe. Nel 1792 il papa tolse la titolarità a Gondisalvo Nunez per difetto di giurisdizione ma la popolazione supplicò il pontefice di lasciare il feudo al Nunez. Tale potente famiglia lo perse solo nel 1821 essendo ormai giunti ad una definitiva soluzione della vertenza Orsini. Il feudo quindi fu affidato ai fratelli Prosperi che nel 1835 vi rinunciarono a favore del Marchese Del Gallo ( nel 1824 aveva acquistato il feudo di Roccagiovine). Verso la metà del XIX secolo Giulia Bonaparte diede vita nel paese ad un salotto letterario frequentato da artisti, pittori e uomini di cultura. Malgrado i numerosi rifacimenti nel corso del tempo, il paese presenta ancora l'aspetto di un piccolo borgo medievale, con le sue piccole case, con il castello e l'imponente torre quadrata.

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