La Fiera di San Filippo Neri o della Fame

L' ultima domenica di maggio ad Arsoli si tiene la fiera di " S. Filippo Neri"(1515-1595). Fu istituita subito dopo l'Unità d'Italia (1861) ma oggi ha perso le caratteristiche della fiera per assumere quelle più generiche di un mercato più o meno grande che occupa piazza Valeria, il corso S. Bartolomeo e piazza Amico d'Arsoli. La "Fiera della Fame" richiamava molta gente anche dai paesi vicini: da Roviano, Marano, Riofreddo, Oricola, Vivaro, Vallinfreda. Costoro si mettevano in cammino di buon'ora a piedi per giungere in tempo.
Nelle bancarelle dei venditori ambulanti si vende di tutto: generi alimentari (birra, dolciumi e porchetta), giocattoli e cianfrusaglie varie, abbigliamento (vestiario, scarpe), utensili per la casa e per il lavoro, piante, bigiotteria, oggetti d'antiquariato.
Lo storico prof, Walter Pulcini sottolinea che questa fiera non è paragonabile a quella, ben più importante di S. Bartolomeo (la cui origine è nel sec. XVII) che si svolge sempre ad Arsoli a fine agosto. I contadini chiamavano quella di San Filippo Neri "La fiera della fame"in quanto si svolgeva quando ancora non si provvedeva al raccolto. Così, non avendo soldi da spendere, le spese venivano rimandate quindi alla fiera d'agosto. Solo allora infatti erano in grado di comprarsi le scarpe nuove o un vestito. Nella fiera di ottobre invece acquistavano i maiali da ingrassare.

Fiera della Fame
Castello di Arsoli

Lo storico suddetto ricorda come in passato, per tempo, la sera precedente la fiera di San Filippo Neri giungevano ad Arsoli i carretti degli ambulanti che "sguinzagliavano" i propri familiari per "occupare" il posto di vendita con qualsiasi oggetto (cesti, caldaie, pezzi di ferro). All'indomani allestivano rudimentali banchi di legno, su cui esponevano di tutto dalle stoffe alle pignatte, dalle sedie ai canestri di vimini. C'era poi chi vendeva i formaggi, chi i salumi; questo gli attrezzi per i campi, quello le scarpe; uno i vestiti, un altro le scope di saggina, e poi chi smerciava ombrelli, chi "ciufalitti" per bambini. Non mancavano neppure gli artigiani come: i ramai, "i callarari", "lo stagnaro", "i ferrari". Allora infatti le pentole di rame stagnate all'interno avevano bisogno di manutenzione.

Nelle taverne si mangiavano piatti poveri come le sarde ("saraghe") e il baccalà e si beveva del genuino vino rosso. Chi voleva comprare o vendere degli animali doveva andare nella zona vicino al mattatoio o in quella del "Lazzaretto".
Il 26 maggio, contestualmente alla fiera in onore di San Filippo Neri, patrono protettore della nobile famiglia dei Massimo, principi di Arsoli, si svolgevano anche molti riti religiosi. Oggi però si celebra solo una messa presso la cappella dedicata al santo nella chiesa parrocchiale; si è affievolita la proverbiale devozione dei contadini arsolani a S. Filippo.
Costoro, come il predetto storico Pulcini ricorda, i contadini, che avevano stretto un contratto in enfiteusi con i Massimo, non solo dovevano consegnare il 26 maggio un pollo al marchese ma dovevano partecipare, devotamente e scrupolosamente, a tutte le celebrazioni indette in onore del santo. C'era un buon rapporto tra gli arsolani e la famiglia Massimo (eletti a principi nel 1826 da papa Leone XII) che spesso e per lungo tempo risiedeva nel castello di Arsoli (che risale al IX secolo), e quindi capiva i bisogni della popolazione e la soddisfaceva.

palio dell'Amico

Poiché, come anticipato, i Massimo riconoscevano come protettore san Filippo Neri, fu logico che anche gli Arsolani si legassero, per riconoscenza, a questo Santo che, consigliando nel 1574 Fabrizio de' Massimi ad acquistare il castello di Arsoli, contribuì a fare in modo che il paese fosse governato ottimamente da tali nobili. Sembra che san Filippo Neri fu per Fabrizio de' Massimi «per trentacinque anni suo confessore e direttore spirituale, non che intimo consigliere in ogni affare anche temporale» (T.Passeri, 1874).

Si ignora come san Filippo Neri ebbe modo di entrare in contatto con Arsoli, né sappiamo con certezza se vi visse per un periodo. Ricorda lo storico Walter Pulcini "...fino agli anni Cinquanta del XX secolo, la gente che visitava le così dette "stanze di san Filippo", poste dietro la cappella palatina nel giardino pensile del castello, si portava dietro pezzettini della coperta e del legno del letto".
Quanto ai Massimo possiamo dire davvero che furono ottimi principi. La terribile pestilenza del 1656 decimò la popolazione arsolana, che in soli tre mesi passò da 900 a sole145 unità. I Massimo si dettero da fare e risollevarono economicamente e demograficamente Arsoli impiantando una serie di attività per la lavorazione della pelle, della lana e dell' argilla. I Massimo (inizialmente marchesi e poi principi), spalancarono le porte del loro castello arsolano non solo a Giacomo III d'Inghilterra nel 1733, a papa Gregorio XVI nel 1834, al principe ereditario Umberto di Savoia nel 1938. Costui vi sostò ad Arsoli durante una visita alla cugina Adelaide di Savoia Genova che aveva sposato il principe Leone Massimo.
Il castello fu occupato fino al giugno del 1944 da un comando tedesco; può essere visitato per gentile concessione degli eredi Massimo.

 

 

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