Questi due ultimi fattori influivano sul prezzo della pietra che risultava piuttosto cara ma le sue qualità inducevano gli intenditori ad impiegarla nonostante il costo elevato. Vitruvio annovera il Lapis Tiburtinus tra i materiali provenienti dalle Lapidicinae temperatae (cave di pietra pronte per l'uso). Anche Plinio il Vecchio ne vanta le indiscusse qualità nelle sue opere così come fanno Procopio e Strabone, da loro apprendiamo che il travertino raggiungeva Roma per via fluviale: era trasportato con zattere che sfruttavano la corrente dell'Aniene e che poi venivano trainate da coppie di buoi che camminavano sulla vicina sponda nei tratti in cui l'acqua del fiume era piuttosto stagnante.
Quando poi l'antica Via Tiburtina fu ampliata, e ciò avvenne verso il 30 a.C., raggiungendo una larghezza di m.6,70 ottima per consentire il transito in senso inverso di carri carichi di blocchi di travertino, si rinunciò alla via fluviale per trasportarlo a Roma. Una comoda carreggiata doppia di quella della Via Appia e percorribile da una doppia fila di carriaggi collegava la cava del Barco alla vicina Via Tiburtina.
L'enorme richiesta del lapis tiburtinus fece sì che molto era il materiale di rifiuto prodotto nella cava del Barco; questo scarto veniva portato a grande distanza dalla predetta cava ed abbandonato a cumuli raggiungenti altezze anche elevate lungo la sponda dell'Aniene. Oggi sono ben visibili una serie di colline nate da predetti accumuli disposte parallelamente al corso del fiume.